Volto le spalle ai vegetariani cercando sul Monte Verità quello svitato di mio padre

di ROSA MATTEUCCI
La quarta tappa di “Costellazione familiare” varca i patrii confini e mi porta in Canton Ticino, a Bellinzona dalle straordinarie sorelle Taborelli: cuoche raffinate e libraie d'altri tempi. Nemmeno l'agio di scendere dal treno, ovviamente in orario perchè in Svizzera i treni sono sempre puntuali, che m'imbatto nell'eloquente insegna dell'ottico Lepori. Indi, alla ricerca di una confezione di studentenfutter - un cartoccio stile ragazzi della via Pal di uvettta, anacardi, nocciole - perizio gli scaffali del supermercato Migros.
Investigo sulla presenza o meno di olio di palma e palmisto nei prodotti da forno franco-elvetici: ne essudano mostruose quantità! Nell'indagine mi assiste il professor Leonardo, anfitrione della Dante Alighieri di Lucerna. Fra di noi è intercorso un vivace scambio epistolare, in cui ebbi modo di proclamarmi vegetariana - per lunghi periodi della mia vita lo fui e ancora lo sono - infatti, visto l'approssimarsi del mezzogiorno di fuoco, andiamo in un ristorante sul corso di Bellinzona dove prendo una bistecca svizzera con patate e innominabili verdure ripassate, che disdegnerò in toto. Consumato il carnivoro pasto di fronte ad uno sbigottito Leonardo, che per compiacermi ordina gnocchi al pesto - non voglio giudicare il pesto ticinese - vengo, dal medesimo, condotta ad Ascona sulle rive del lago.
Il lungolago somiglia alla tratta più squallida di quello di Bolsena, da me sempre inviso giacchè tradizionale avamposto di gite domenicali in automobile. Non intendo fermarmi nemmeno il tempo di un caffè, pertanto ripartiamo alla volta del celebre Monte Verità. Il Monte Verità mi è particolarmente caro, perchè mi ricorda quello svitato di mio padre. Negli anni '60 egli vi si recava in pellegrinaggio in veste di teosofo nonché di giocatore di casinò - prospicienti questi in gran numero al primo dei laghi che incontrerò sul mio cammino - in questo caso il Maggiore -. In Svizzera ove ti giri c'è la sponda di un lago, il ramo di un lago, il braccio di un lago. Apri la porta della stanza di albergo e c'è un lago.
Nel 1889 al lucernese Alfredo Pioda in combutta con Franz Hartmann e la contessa Constance Wachtmeister, venne l'uzzolo di fondare un convento teosofico: il Fraternitas, l'attuale Monte Verità. Il Pioda si proponeva di incarnare una terza via politica sospesa fra comunismo e capitalismo. In preda a visioni mistico-materialistiche fondò la cooperativa "vegetabiliana" - una sorta di illuminata comune vegetariana ante litteram - ispirata ad un comunismo paleo-cristiano. Così ai primi del Novecento fecero la loro comparsa impensabili frichettoni nel bosco del Monte Verità. I naturisti-crudisti alloggiavano in graziose porziuncole di legno grezzo, dai colori pastello, prive di riscaldamento. Vagavano ignudi e prendevano bagni di sole. Sempre in quel principio di secolo una nutrita schiera di anarchici si attesta negli alberghi di Ascona per mescolarsi con la comune di Monte Verità, sotto l'alto patronato della cosidetta "Contessa cosmica": Franziska Grafin zu Reventlow.
Il Monte ben presto da comune hippy diviene luogo del culto solipsistico dell'ego degli innumerovoli, variegati ospiti. Si filosofeggia, fra una corsa sul prato e una seduta spiritica. Il culmine del delirio intellettuale si raggiunge nel 1910 quando lo psicoanalista Otto Gross progetta un'università sociale volta al raggiungimento del "paradiso comunista". Dopo una stramba fase di transizione bellica e post-bellica, in cui Monte Verità fu adibito a casa di cura, per l'aria fine che vi si respira - e infine a sanatorio, entra in scena il fantastico coreografo Rudolf von Laban. A partire dal 1913 von Laban crea sul Monte Verità la sua "scuola d'arte" che si propone l'iniziazione danzante, fra il vegetariano e il naturista, a tutti i modi di espressione del genio umano. Von Laban è un illuminato teorico della danza. Nasce così la strabiliante "Nuova Danza" in contrapposizione all'antiquato, masochistico balletto classico dei russi. Da von Laban in poi chi vorrà non danzerà più indossando gli orridi strumenti di tortura che sono gli scarpini con punta di gesso, concepiti dal genio del male russo, bensì a piedi nudi.
Nel truce 1917 fanno la loro comparsa al Monte Verità anche i massoni. Theodor Reuss, capo dell'ordine templare d'oriente, convoca un congresso di compassi e grembiulini: propugna una società senza frontiere, l'emancipazione femminile, la ierogamia fra la danza e la massoneria. L'antica cellula massonica, pregna di eredità spirituali, rendeva il Monte particolarmente appetito da mio padre: egli sosteneva che grazie ad una sua speciale intuizione mistica ed esoterica, vagando in quella boscaglia avrebbe svelato i misteri della setta. Secondo lui avrebbe trovato un sigillo o qualcosa di simile ad un anello. Non mi risulta che abbia mai trovato nulla.
Nel 1920 i fondatori del Monte Verità emigrano all'estero. La magia del romitorio si spezza, subentrano un gruppo di pittori svitati finchè nel 1926 - l'anno della morte di Rilke - il barone Eduard von der Heydt, banchiere del kaiser Guglielmo II nonché mecenate e collezionista d'arte, compra il Monte. Iniziano i lavori per la costruzione dell'attuale albergo in stile Bauhaus, che diventerà una sorta di pinacoteca. A partire dalla fine degli anni Sessanta l'albergo diventa sede di incontri culturali a livello internazionale, con speciale attenzione per il mondo della psicoanalisi. Oggi ospita congressi del Politecnico di Zurigo e svariati eventi culturali su cui non intendo dilungarmi.
Durante la mia visita splende il sole, su rimasugli di neve sporchiccia. Quest'anno non ha quasi nevicato. Visitiamo il giardino, ove sorgono simpatici edifizi dai suggestivi nomi: villa Semiramis, Casa dei russi, Casa Marta, Casa Annatta e Casa Selma. Nei pressi di Villa Semiramis percepisco la presenza dello spirito di Jung, confermata dall'anfitrione. Mentre il professor Leonardo, mezzo affondato in un cumulo di neve vergine, ancora non si capacita di come io, dichiaratami vegetariana , mi sia fatta fuori una bistecca, ribadisco mendace il mio essere fermamente vegetariana di fronte al presidente, che ci fa da guida. Ci arrampichiamo su collinette, discendiamo viscidi e ghiacciati scalini di legno, entriamo e usciamo dalle deliziose casette, vaghiamo nella piantagione del the, perché qui hanno anche una piantagione di the. Mi candido come ospite per la prossima raccolta del the. Il presidente sorride, mi guarda con espressione che in romanesco verace potrebbe suonare: «Ma vedi d'annattene». La visita si conclude con reciproco scambio di sorrisi e poderose strette di mano. Volo dalle sorelle Taborelli.
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