Vuoi essere felice? Chiedi agli antichi Parola di Massarenti

PORDENONE. Tutti gli esseri umani aspirano alla felicità, anche se poi su questo concetto le idee possono essere molto diverse. Perciò forse conviene andare alle origini della riflessione sulla felicità. In tal senso lo studioso di filosofia Armando Massarenti è convinto che i pensatori dell'antichità possano offrire spunti ancora oggi molto validi. Lo argomenta in un brillante volume, capace di comunicare i concetti filosofici con invidiabile vivacità, dal titolo “Istruzioni per rendersi felici” (Guanda, pagg. 170, euro 13,00). Il sottitolo presenta la tesi centrale del saggio, che viene presentato oggi, alle 11, all’Auditorium Vendramini: "Come il pensiero antico salverà gli spiriti moderni".
Massarenti, perché proprio la filosofia antica?
«Perché il pensiero di coloro che per primi in Occidente hanno provato a interrogarsi su questi temi presenta una freschezza e una capacità di stimolare una riflessione critica che sono ancora assolutamente attuali. La mia elaborazione si pone nella scia di studiosi come Pierre Hadot e Michel Foucault, che hanno proposto un'interessante rilettura in chiave contemporanea della filosofia antica».
E cioè?
«Al centro del loro discorso si colloca il concetto di "cura di sé", da perseguire attraverso una filosofia di taglio pratico, com'era, in una parte consistente, quella dei filosofi antichi. Del resto anche autori moderni come Montaigne, Leopardi, Schopenhauer o Nietzsche, quando affrontano un'indagine sul tema della felicità, non mancano di rifarsi a Socrate, Platone, Aristotele, Epicuro, Seneca, Plotino ecc.».
Qual era l'idea di felicità dei filosofi antichi?
«Non certo quella della pazza gioia o del godimento sfrenato, bensì quella che Aristotele chiamava "eudaimonia", cioè una condizione di equilibrio e serenità da raggiungere attraverso la moderazione delle emozioni, delle passioni e dei desideri. Altre idee importanti riguardano i modi di reagire alla fortuna e ai suoi rovesci. L'esempio classico di questa concezione è lo stoicismo, ma, diversamente dalla vulgata che vuole gli epicurei come edonisti e gaudenti, anche l'epicureismo andava nella stessa direzione, predicando l'atarassia, cioè l'assenza di turbamenti nell'animo, come l'obiettivo a cui tendere».
Insomma, i filosofi antichi sono i più adatti a svolgere un discorso sulla felicità?
«Esattamente, e molte delle loro tesi vengono oggi confermate dai risultati delle neuroscienze. Per esempio l'affermazione dell'importanza della meditazione per raggiungere una qualche forma di tranquillità interiore».
Qual è nel suo volume l'approccio a questi pensatori?
«Ho voluto evitare di riprodurre cliché e luoghi comuni, proponendo una lettura libera dei loro testi, con una particolare attenzione ai risvolti pratico-morali. Questi autori ci invitano a coltivare le nostre virtù, convinti che la conoscenza è una cosa bella perché migliora la qualità della vita».
Passiamo in rassegna alcuni autori. Partiamo da Lucrezio, che nel De rerum natura mette in versi la filosofia epicurea. Che cosa è in grado di insegnarci?
«Lucrezio è un finissimo psicologo. Ti fa capire come assecondare i tuoi desideri ti conduce in un circolo vizioso in cui finisci per volere sempre di più. Afferma inoltre che la felicità non va proiettata nel futuro, ma va cercata nel presente».
E Platone?
«Per lui la filosofia non è una cosa che porta ad astrarsi dalla realtà, ma al contrario ha finalità molto concrete. Non a caso pensava che ai filosofi andasse affidato il governo della cosa pubblica».
Il suo libro si spinge fino a Machiavelli. Perché?
«Perché anche l'autore del Principe ha messo a frutto l'insegnamento dei classici. Non ha mai detto, come molti ripetono, che "il fine giustifica i mezzi". Ma ha invitato a riflettere, laicamente, su come in certe circostanze da qualcosa comunemente ritenuta un male possa derivare un bene e viceversa».
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