William Wall: «Cenerei con Gramsci e gli direi che combattiamo ancora la sua stessa battaglia»

Oggi ospite della Trieste Joyce School lo scrittore e poeta irlandese che vive tra il suo paese e Camogli. Al Revoltella il suo reading 
Lasorte Trieste 25/06/19 - Scuola Joyce, William Wall
Lasorte Trieste 25/06/19 - Scuola Joyce, William Wall

l’intervista



«Grazie all'eredità lasciata da Joyce, per un irlandese arrivare oggi a Trieste è come tornare a casa», dichiara William Wall, affascinato dalla città. Writer in residence della 23° Trieste Joyce School, Wall è uno straordinario scrittore e poeta irlandese, che oggi alle 19.30 terrà un reading all'Auditorium del Revoltella. Nato a Cork e cresciuto nel villaggio costiero di Whitegate, Wall ha studiato all’University College Cork e, dopo aver girato il mondo, ora vive tra l'Irlanda e Camogli, in Liguria. È l’autore di sei romanzi mozzafiato: Minding Children, Alice Falling, The Map of Tenderness, This is the Country (longlisted per il Man Booker Prize), Grace's Day e Suzy Suzy (appena uscito), di tre raccolte di racconti e collezioni di poesie. Trame sconvolgenti, storie di infanzie violate, di adolescenti indifesi e fragili, di indicibili segreti di famiglia. Vincitore di numerosi premi letterari, le sue opere sono state tradotte in varie lingue. Lui stesso traduce dall’italiano. Nelle sue giornate triestine gli abbiamo chiesto di parlarci del suo paese e della sua opera.

Wall, dai suoi romanzi traspare l'immagine di un'Irlanda desolata e inquietante...

«I miei romanzi gravitano attorno agli stessi temi: il potere, la corruzione, famiglie in crisi, l'infanzia e la sua fine, il capitalismo, specialmente nella sua declinazione irlandese neoliberista. È una critica ai tempi in cui viviamo, al fatto che il pianeta ci sta bruciando sotto ai piedi, e i ricchi diventano più ricchi e più protetti dalle calamità che hanno provocato. Oggi in Irlanda non dobbiamo più fare i conti con gli spacciatori locali o col campanilismo, ma col progressivo inabissamento dell'isola stessa».

La maggior parte dei suoi romanzi ha protagoniste donne...

«Sono cresciuto in una casa abitata da donne forti e abili racconta storie. Il mio interesse per come funzionano le famiglie – o per come “non” funzionano – deriva da quell'esperienze d'ascolto. Ho usato il punto di vista femminile per prendere le distanze da me stesso. Odio l'idea di raccontare la mia vita e questo trucco aiuta a evitare sentimentalismi, in realtà credo sia impossibile controllare cosa scriviamo. Virginia Woolf disse che ‘il nervo che controlla la penna s'avvolge attorno a ogni fibra del nostro essere».

Come riesce a rendere il suono così peculiare delle sue voci narranti?

«Sono affascinato dalle frasi udite per strada, espressioni strane, commenti casuali. Non sono mai storie complete – sta a me completarle. Entrare nella mente di una persona – un personaggio intendo – è uno dei grandi piaceri della scrittura. Cerco di creare un idioletto che aiuti il lettore ad affezionarsi al personaggio. Mi è d'aiuto lo scrivere poesia. Il poeta è il profeta delle minuzie».

Lei è però anche autore di racconti brevi, fulminanti, come un colpo di pistola...

«Mi sono innamorato di questo genere sotto l'influenza di James Joyce e di Frank O’Connor. Nessun'altra forma di scrittura riesce a mettere così bene a fuoco quanto c'è d'invisibile, di trascurato, di sottovalutato. Non solo perché descrive ‘popolazioni sommerse’, ma perché ritualizza forme d'esperienza che altrimenti passano inosservate. Orazio, in Ars Poetica, consigliava di iniziare in medias res, e questo fa il racconto. La vicenda è ininfluente e priva di futuro: è la consapevolezza a essere cruciale».

La scrittura è un dialogo con la letteratura del passato. Nei suoi libri ci sono echi da Dante, Orazio, Tucidide... chi sceglierebbe come compagno per una cena?

«La cena ideale li vedrebbe tutti riuniti. Immagino Omero, Virgilio e Dante coalizzati contro Joyce per le sue imperdonabili libertà, mentre Joyce sorride compiaciuto sorseggiando tranquillamente il suo mezzo-litro di bianco. Ma se dovessi scegliere uno scrittore per una cena a due sarebbe Antonio Gramsci. Gli chiederei cosa pensa del mondo di oggi e gli direi che aveva ragione su molte cose e che, dopo quasi cento anni, ci troviamo a dover combattere ancora la stessa battaglia». —



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