Wlodek Goldkorn: «Gerusalemme è un mito artificiale nato nell’Ottocento»

TRIESTE Un Israele degli anni Sessanta e Settanta, ancora giovane, con i fantasmi della Shoah molto presenti ma un paese ben diverso da quello di oggi. E una città, Gerusalemme, che non è il luogo in cui sta il Messia perché il Messia è la parola, qualcosa con cui possiamo pensare di costruire il futuro, quando la parola e il racconto sono le uniche cose immortali. Di questo parla il libro “L’asino del Messia” (Feltrinelli, pagg. 224, euro 16) di Wlodek Goldkorn che lo scrittore e giornalista di origine polacca presenta con Adam Smulevich oggi, domenica 20 ottobre, alle 17 per TriesteBookFest all’auditorium del Museo Revoltella. Il protagonista del romanzo, seguito de “Il bambino della neve”, è un apolide, condizione di grande attualità. «Questo libro - spiega Goldkorn - è a tratti autobiografico ma ci tengo a sottolineare che non sempre il narratore corrisponde allo scrittore, e che non si tratta di un libro su Israele».
«Io - continua lo scrittore - sono stato profugo e migrante, apolide solo per qualche settimana durante il passaggio dalla Polonia a Israele. Essere migranti è una condizione paradigmatica e io l’ho vissuta in maneria radicale perché allora avevo sedici anni, un’età in cui non si è più ragazzi ma non si è ancora adulti. Ho vissuto un grande disagio, non capivo chi ero, le persone del mio paese di provenienza non c’erano più, non avevo nessun riferimento né regola, anche perché avrei avuto bisogno dei genitori che mi guidassero ma loro erano ancora più persi di me. Per loro è stato un vero dramma essere scacciati da un paese, la Polonia, che avevano contribuito a costruire».
Che sensazioni le ha dato affrontare vicende personali?
«È stato catartico fare questo tipo di letteratura, è stato come andare dallo psicanalista. Quando si scrive non si sa bene cosa succederà, e scrivere è un modo per indagare se stessi. Questo è un libro letterario con forti elementi da memoir. Mettendole nero su bianco ho capito molte cose».
Cosa si aspettava da Gerusalemme prima di vederla?
«Gerusalemme è il luogo per eccellenza, è l’inizio e la fine, un luogo dell’immaginario occidentale. Prima di andarci chiunque ha grandi aspettative. Sono stato aiutato dalle parole di Matilde Serao che diceva che tutti si aspettano da Gerusalemme chissà quale fulminazione o trascendenza, invece la trascendenza esiste solo nel deserto. È una città artificiale, il suo mito è un artefatto ottocentesco: con il declino dell’Impero ottomano le potenze occidentali hanno ritrovato interesse in Gerusalemme».
“La nostalgia del futuro” è uno dei concetti più belli del suo romanzo.
«Intendo parlare della memoria degli sconfitti. Sono un fanatico della dignità della disfatta, della memoria degli oppressi e dei loro sogni eliminati dai vincitori. Nella Storia i vincitori, anche se sono dalla parte della giustizia, sono disattenti e creano degli emarginati, degli esclusi, come gli anarchici spagnoli o gli ebrei comunisti in Polonia. Ho nostaglia di questo tipo di memorie e le coltivo, come la lingua yiddish, perché queste memorie dovrebbero stare alla base del nostro futuro. La memoria dei vincitori, invece, è noiosa».
Le religioni continuano a dividere i popoli e a portare all’intolleranza e agli scontri, alle guerre. Non è un paradosso dal momento che le religioni trattano l’aspetto spirituale dell’uomo?
«Non sono religioso e non ho fede. Conosco preti, rabbini e imam che non sono fondamentalisti, come anche il pontefice attuale. Le religioni, essendo rivelate, aiutano a diventare fondamentalisti. Per non diventarlo bisogna restare nella contraddizione: le identità che portiamo in noi sono plurime, per questo siamo nevrotici e i nostri desideri sono tanti e spesso in contraddizione. Le identità comportano sempre un tradimento. Tutti i racconti sono contradditori mentre l’identità unica e pura porta solo al fondamentalismo o al nazionalismo».
IL PROGRAMMA DI OGGI: Alle 18, al Revoltella, nella giornata di chiusura di Bookfest, Paolo Rumiz e Donatella Ferrario parleranno dell’ultimo libro dell’autrice, “Sconfinare” (E. San Paolo): in prima fila ci saranno anche i lettori della community Noi Il Piccolo. Alle 12, al Knulp, Luciana Cimino racconterà la sua graphic novel “Nellie Bly”, sulla prima giornalista investigativa e creatrice del giornalismo sotto copertura, scritta con Sergio Algozzino: dialogherà con il giornalista Giovanni Tomasin. Alle 17, al Caffè San Marco,il poeta e libraio Alessandro Barbaglia animerà il reading “Ho sognato di sognare. Storia di un bi-sogno”, introdotto dalla giornalista Sara Del Sal. Alle 10.30, al Revoltella, appuntamento con l’omaggio a Rodari, insieme a Pietro Guglielmino, esperto di letteratura per l’infanzia, al vignettista Fabio Magnasciutti, allo scrittore e ludologo Beniamino Sidoti e all’editrice Gaia Stock.
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