Zamarin, pittore e scenografo tra Secessione e realismo epico

Da domani il Museo della civiltà istriana rende omaggio all’artista di Parenzo che lavorò come decoratore e restauratore. Fu fatto sparire dai titini nel 1945
Di Paola Targa

TRIESTE. Il museo della Civiltà istriana giuliana e dalmata di Trieste rende omaggio al pittore Giovanni Antonio Zamarin, nato a Parenzo nel 1885 e scomparso il 5 maggio 1945, quando fu prelevato a Capodistria da partigiani titini e internato nella vicina località di Maresego, luogo in cui si persero le sue tracce. La mostra aprirà domani, nell’istituto di via Torino alle 18.

Zamarin, attivo come scenografo e disegnatore di cartoline già dal 1906, dopo la guerra, fatta con la divisa austriaca, e il matrimonio con la triestina Irma Andrich, lavorò per il conservificio Torrigiani di Isola, all’ufficio propaganda, occupandosi delle decorazioni dell’azienda e curò anche la Scuola complementare generale per apprendisti di Isola.

Con Renato Petronio fondò la “Pullino”, società nautica isolana, cui rimase sempre molto affezionato. Quando, nel 1928, l’equipaggio isolano tornò in città con la medaglia d’oro delle Olimpiadi, Zamarin realizzò il decoro nella sala municipale dove si sarebbero tenuti i festeggiamenti. È del 1938 l’ultima notizia di una sua esposizione, con altri artisti, alla Loggia di Capodistria. Fino a quell’anno, inoltre, aveva partecipato al restauro e alla decorazione del castelletto di Semedella. Zamarin tenne poi un corso di disegno alla Scuola professionale marittima Nazario Sauro, aperta nel 1939, dove insegnò probabilmente fino al 1944. L’anno dopo il pittore veniva catturato dai titini e spariva.

Le prime opere note di Zamarin risalgono al 1901-1902. La sequenza di marine, databili attorno al 1910 o prima, fa pensare, da una parte alla grande scuola dei marinisti che annovera un buon numero di pittori veneto-giuliani e che vede nel piranese Pietro Fragiacomo uno dei maestri, e, dall'altra, al triestino Giuseppe Miceu, di cui Zamarin pare un epigono, se non addirittura un copiatore. Suggestivo lo scenario proposto, già nel 1902, in una stampa litografica uscita dai torchi della Modiano di Trieste.

Zamarin, comunque, frequenta, fra il 1911 e il 1914, la Kaiserlich Königliche Staats Gewerbe Schule, la sezione per "capi d'arte" delle Industriali triestine, quella scuola che avrebbe fornito una straordinaria compagine di artisti giuliani, fra il finire dell'800 e il precedere della Prima Guerra. Ha come maestro Carlo Wostry, che succederà nell'insegnamento allo Scomparini e continuerà ad essere professore alla sezione per Capi d'arte sino al 1925. Ma, forse, il maggior segno gli viene lasciato da Giuseppe Torelli e Renato Grego Mayer docenti di disegno architettonico e professionale. In quest'ambito, gli studi di nudi maschili mostrano gli influssi e richiamano la Sezession. Di quegli anni scolastici sono affiorati numerosi suoi studi, qualche abbozzo e qualche prova più compiuta di scenografie, di decori articolati, di strutture elaborate di palcoscenici.

Agli anni della Grande Guerra e seguenti, risale uno dei lavori decorativi più articolati ed efficaci: si tratta del "Mater Divinae Gratie" (1916), forse predisposto come ex-voto. L'opera offre richiami indubbiamente liberty, se non preraffaelliti. Fra il 1918 e i primi anni '20 compaiono una serie di opere di ispirazione scenografica con figurazioni di rocche, castelli, fortificazioni. Ci appaiono atmosfere, a volte, cupe, come nei due piccoli oli di scorci fortificati (1920), e, con un'imponenza densa di una sorta di realismo epico, di una desolazione fantastica.

Nell'ultimo periodo di vita e attività di Zamarin compaiono tratti che riprendono insegnamenti derivanti dalle innovazioni futuriste se non cubo-futuriste. Mentre nitido, di grande pulizia ed equilibro, si mostra il progetto "Arredamento per un salotto", che pare sia stato predisposto per il duca d'Aosta nel castello di Miramare.

Il congedo è affidato a un anomalo olio su tavola, "Riflessi dorati di vele sul mare". Siamo nel 1941, ma per Zamarin il tempo è, ormai, quasi finito.

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