Zoff: «Berlusconi mi giudicò indegno E io me ne andai»

PORDENONE. Si intitola “Dura solo un attimo, la gloria” (Mondadori, pagine 168, euro 17,00), il libro di Dino Zoff. Non una biografia tradizionale, ma una piccola storia d'Italia narrata dal punto di vista unico di un monumento allo sport, il portiere campione mondiale con la Nazionale italiana nel 1982 e poi allenatore degli Azzurri dela 1998 al 2000, prima di essere “sfiduciato” da Silvio Berlusconi dopo la perdita, da parte dell'Italia, della finale con la Francia agli Europei di calcio del 2000. Un “italiano asburgico”, nato a Mariano del Friuli nel 1942, taciturno e profondo, che ha attraversato mezzo secolo, incarnandone la voglia di farcela (anni '70 e '80), poi ponendosi come punto di riferimento mentre tutto vacillava ('90 e 2000), e, infine, osservando il crepuscolo di un'epoca.
Nelle sue parole, si alternano personaggi di primo piano e fugaci comparse, eroi invincibili e uomini pavidi, protagonisti, più o meno consapevoli, della grande trasformazione sociale italiana. C'è Gianni Agnelli, cui è costretto a mentire quando all'alba, prima che lui si fosse alzato, lo chiamava al telefono: «”Che tempo fa, lì da voi, Zoff?”, “Sereno variabile, Avvocato”. Mica potevo dirgli che non avevo ancora aperto le finestre». C'è Luca Cordero di Montezemolo, la sua impreparazione e la sua smania di novità, che lo licenzia dalla "sua" Juventus. C'è Enzo Bearzot: «Un uomo come ne ho conosciuti pochi, ricco di onestà, forza, capacità di leadership». C'è Silvio Berlusconi e le sue accuse d'indegnità dopo gli Europei del 2000, alle quali Zoff reagì dando le dimissioni.
Ed è inevitabile iniziare da questo episodio, che segnò la fine della sua carriera: «Parto dal presupposto che quando uno fa una cosa, bisogna dargli fiducia. Dare le dimissioni è diventato un gesto rivoluzionario. Probabilmente se non le avessi date, si sarebbe tutto risolto, ma in quel momento non ci ho pensato due volte. Le critiche passano in secondo piano dopo una vittoria, dopo una sconfitta bruciano di più». Si è poi pentito di quel gesto? «Non mi pento mai delle decisioni».
Che cosa direbbe a un ragazzo che vuol fare il calciatore? «Dovrei parlare ai genitori, perché spesso le aspettative sono esagerate. È proprio il carico eccessivo di attese a bruciare a 17-18 anni ragazzi promettenti». Come vede il calcio di oggi? «Il comportamento in campo è totalmente diverso. Manca il rispetto dell'avversario. Lo sport ha un valore educativo, che ti porta a rispettare le regole, a imparare a vincere e a perdere». È più difficile vincere o perdere? «Diversamente da quanto in genere si crede, direi senza dubbio vincere, perché a volte ti conduce in un territorio lontano dalla realtà».
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