Ue, Panara: «Subito un cambio di marcia»

Draghi spiega che non dobbiamo aspettare una crisi per muoverci perché in piena crisi ci siamo già e senza cure rischiamo una lenta agonia
Marco Panara
Mario Draghi
Mario Draghi

Mario Draghi ha l’inconsueta capacità di dire le cose più dure con la limpida serenità di chi recita un Padre Nostro. Senza enfasi, senza accentuazioni, senza cambi di tono o di espressione. Solo, ogni tanto, le sue labbra sottili si allargano in un accenno di sorriso. L’efficacia della sua retorica è nella totale assenza di retorica. Andrebbe studiato, e forse qualcuno già lo fa.

E di cose dure ne ha dette nella presentazione del suo Rapporto sul futuro della competitività europea: che non dobbiamo aspettare una crisi per muoverci perché in piena crisi ci siamo già e perché senza cure questo nostro ricco e un po’ viziato continente è destinato ad una lenta agonia; che le cose che sappiamo fare, la nostra manifattura, dall’auto alla farmaceutica non solo non bastano più ad assicurarci un futuro di benessere ma sono in rapida erosione. Che la prosperità non è più assicurata nelle mutate condizioni di contesto che vedono la contrazione della crescita del commercio mondiale, l’incattivirsi della concorrenza e l’utilizzo più massiccio ed efficace dei nostri grandi concorrenti delle tecnologie che non solo non produciamo, ma non siamo neanche troppo bravi a maneggiare.

Quanti dei nostri imprenditori leggeranno il suo corposo rapporto?

Quelli che lo faranno vi troveranno molte cose di cui sono consapevoli, come il peso della bulimia regolatoria europea; come il costo esorbitante dell’energia dovuto in gran parte alla frammentazione dei mercati dell’Unione, all’incapacità di mettere in comune il potere negoziale che darebbe a tutti una forza esponenzialmente maggiore, alla speculazione, alle rendite, alla ingiustificata incapacità di sottrarre i prezzi dell’energia da quelli volatili del mercato spot e di sciogliere il nodo che lega i prezzi delle energie rinnovabili a quelle prodotte con i combustibili fossili.

Su queste analisi e sui rimedi proposti gli imprenditori dovrebbero concordare e sostenere le proposte del Rapporto e dargli quella forza politica di cui ha bisogno per farci uscire da questa “lenta agonia”.

Ma ci sono altri aspetti di quanto ha detto e scritto Draghi che saranno più difficili da digerire perché impongono un cambio di paradigma. Il primo è la rilettura dei fattori della competitività. Per trent’anni noi italiani l’abbiamo inseguita puntando sulla flessibilità e la compressione del costo del lavoro. Ma in questo primo scorcio del terzo millennio non è il costo del lavoro ma la conoscenza contenuta nel lavoro quello che conta perché la chiave della competitività è l’innovazione, la capacità di innovare e la diffusione dell’innovazione anche nei settori maturi. L’Europa in questo è indietro rispetto a Stati Uniti e Cina e l’Italia è indietro in Europa.

È un problema di formazione, importantissimo e da affrontare con urgenza; è un problema di politiche della ricerca altrettanto urgente. Ma per capire fino in fondo dove ci troviamo e perché dobbiamo ribaltare il ragionamento: qual è la domanda di conoscenza delle imprese italiane? E quanto sono disposte a pagarla? La risposta più facile è la migrazione massiccia dei nostri ragazzi meglio formati che trovano altrove opportunità e salari migliori. E, ragionando in termini di domanda e di offerta, che spinta c’è a formare e ricercare se la domanda di conoscenza langue?

Paradossalmente la compressione del costo del lavoro è una delle cause di quella bassa domanda perché crea una rendita che rende rinviabile l’innovazione. La campanella che ha suonato Draghi ci dice che il tempo per rinviare non c’è più. Che la politica è chiamata a fornire le risorse necessarie alle università e ai centri di formazione e le università e i centri di formazione devono entrare rapidamente in questo ventunesimo secolo per fornire le conoscenze che richiede. Ma la pressione perché questo avvenga deve venire dalle imprese, che diventando consapevoli che senza innovazione hanno il futuro segnato devono creare la domanda. Non perché lo dice Mario Draghi ma perché l’innovazione è la via per continuare ad esistere e a prosperare.

Il Nord Est è un’area felice e fortunata ma questo cambiamento di paradigma la riguarda da vicino, perché il suo modello produttivo è legato a quelle condizioni di contesto che i tempi difficili che stiamo attraversando ha rapidamente cambiato. Di una cosa dobbiamo essere consapevoli: che non si tornerà indietro e se non coglieremo la sfida dell’innovazione il mondo non si fermerà ad aspettarci.

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