Di Lenarda: «Tanti esami inutili e liste d’attesa: è l’effetto Google»
il direttore della struttura complessa Patologie Cardiovascolari di Asugi: «Il sistema universalistico si sgretola e più utenti scelgono il privato. La gente si informa online e pretende troppi accertamenti senza una regia clinica»
Il “dottor Google” è disponibile a ogni ora del giorno, e anche di notte. Ma, anziché risolvere i problemi, li moltiplica. Un elemento, non secondario, della crisi del sistema sanitario nella Venezia Giulia che Andrea Di Lenarda descrive citando le questioni aperte, a partire delle interminabili liste d’attesa, ma ribaltando il punto di vista: «Non c’è poca offerta, almeno in Cardiologia, c’è troppa domanda. I soldi spesi per cercare di ridurre le liste rischiano di aumentare le richieste inappropriate». Una soluzione praticabile da subito? «Integrazione, collaborazione e comunicazione tra specialisti e medici di medicina generale».
Il nostro giornale dà la parola ai protagonisti della sanità del territorio: specialisti, medici di medicina generale, sindacati, i vertici dell’azienda, la politica. Partiamo con Di Lenarda, il direttore della struttura complessa Patologie Cardiovascolari di Asugi e del Dipartimento specialistico territoriale. Nel ragionamento sulle cose che non vanno e su quelle da fare, questo secondo incarico conta perfino di più. Quel Dipartimento, nato nel corso del 2022, è stato indicato infatti come esempio virtuoso sul Giornale Italiano di Cardiologia «perché lavora mirando a un’assistenza multidisciplinare e multiprofessionale, il migliore dei percorsi».
Che cosa si vede dal territorio?
«Si vede che il sistema universalistico, per decenni un fiore all’occhiello, si sta sgretolando. Le persone non hanno più accesso alle cure in senso ugualitario, si trovano in liste interminabili e sono costrette a rivolgersi, in maniera crescente, al privato».
Il “dottor Google”?
«Si legge in rete il collegamento tra sintomi e malattie e ci si fa prescrivere un esame. Non c’è più fiducia nel proprio medico e si preferisce l’informazione di internet, che semplifica i processi complessi e fa sembrare il “fare salute” un lungo elenco di esami. Spesso inutili, senza una regia clinica».
Il nodo risorse è il primo dei problemi?
«Di risorse ne abbiamo avute tante e ne abbiamo ancora dal Pnrr, ma riguardano muri, costruzioni, piattaforma digitale, che però non decolla, Case di comunità. Novità importante, ma che non sapremo con che cosa riempire. Perché il Ssr non è più attrattivo, non ci sono gli indispensabili infermieri e in alcune specialità, emergenza e urgenza soprattutto, mancano pure i medici».
Disaffezione al mestiere?
«Chi lavora si trova in una crisi motivazionale senza precedenti. Carichi eccessivi, turni a volte insostenibili, soddisfazioni e prospettive limitate, scelte sindacali, stipendi non adeguati, specialmente per il comparto infermieristico: chi opera in queste condizioni è meno produttivo e propositivo. Non sorprende che le uscite verso la sanità privata siano in aumento; temo che tra qualche mese saremo ancora di più sull’orlo del burrone».
Nel territorio lavorano i medici di famiglia. Che ne pensa?
«Sono un po’ la causa, ma spesso le vittime della situazione. Pagano una formazione universitaria non equiparata a quella delle specialità e soffrono una fase di ricambio che non dipende da loro, ma che vede oggi sul campo giovani mandati letteralmente allo sbaraglio. Bravi, ma poco esperti per seguire, da un giorno all’altro, 1.500 pazienti. Quegli stessi pazienti che entrano in ambulatorio e chiedono visite ed esami. Per proteggersi, i medici di famiglia, comprensibilmente, soprattutto i giovani, in questo caso vittime, eseguono quelle che a tutti gli effetti sono pretese, non sempre giustificate».
Ed ecco le liste d’attesa.
«Sono spuntati pure gli esami di sabato e domenica. Ma come pensare che sia un problema di offerta quando, almeno in Cardiologia, ma non solo, siamo ritornati ai numeri del pre-Covid? Le liste d’attesa sono piene di gente che non deve fare visite. Più di metà della domanda è un’errata prescrizione e lavorare nel week end peggiorerà le cose perché un aumento dell’offerta genererà altra domanda».
Il privato accreditato, in questo contesto, che contributo può dare?
«Il privato accreditato può fare le prestazioni semplici, radiologia e laboratorio ad esempio, con maggiore efficienza del pubblico, ma quando gli si consente di gestire la complessità, senza l’adeguata organizzazione in team multidisciplinari e multiprofessionali, si ritroverà a scrivere referti in cui si consigliano altri esami, alimentando sempre di più le solite liste d’attesa».
Le soluzioni?
«Le risorse vanno utilizzate meglio. Non è solo un problema di stipendio, per i medici abbastanza buono e per gli infermieri molto meno. Anziché comprare prestazioni, va costruita una premialità non a pioggia, ma che riconosca il merito di chi lavora davvero per il bene dei pazienti e del sistema. A Monfalcone, l’11 dicembre, abbiamo aperto il primo reparto territoriale cardio-pneumo-diabetologico. Tutto era pronto, mancavano solo gli infermieri. Ma abbiamo deciso di forzare, coprendo in questa fase i turni da Trieste e sperando che a gennaio possa cambiare qualcosa. Perché non permettere agli infermieri di fare attività privata fuori dall’orario di servizio? Credo incentiverebbe molti a proseguire nel pubblico».
Da dove si parte?
«Dobbiamo fare un’alleanza, superando l’attuale tutti contro tutti. Con la medicina generale, presidio fondamentale, si deve poter lavorare assieme. Per ridarle ruolo, come più volte con forza proposto dalle Università, nel medio periodo va creata una scuola di specializzazione che abbia la stessa dignità delle altre, ma prima possibile bisogna mettere insieme mmg e specialisti».
In che modo?
«Se il mmg entra in stretto e frequente contatto con lo specialista, il paziente si rassicura, riconosce il suo mmg come titolare nella squadra di chi lo sta curando. È quello che stiamo cercando di fare con il Dipartimento specialistico territoriale di Asugi, in cui cardiologi, pneumologi, diabetologici e nefrologi lavorano quotidianamente insieme, con un cellulare dedicato a disposizione del mmg e, a breve, con incontri mensili via web. Altra sinergia possibile è tra il sanitario e il socio-assistenziale, che incide non poco sulla salute delle persone: posso prescrivere un farmaco, ma quel farmaco va portato anche a chi non si muove, non ha adeguati mezzi economici o vive solo».
Un percorso dal basso o dall’alto?
«Da entrambi. Da noi, dalla nostra propositività, come è successo con il Dipartimento, un’idea dei clinici che ha trovato una direzione aziendale illuminata che l’ha recepita. Mentre dall’alto la Regione dovrebbe riuscire a guidare, governare e controllare l’attività, residuale e di bassa-media complessità, delegata al privato accreditato, senza inseguire il mito dell’aumento generalizzato di offerta di prestazioni. Sono certo che la stragrande maggioranza degli operatori sarebbero pronti a cogliere e accompagnare questo nuovo percorso virtuoso». —
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