La biologa Cattaneo a Trieste Next: «Scienza e politica faticano a capirsi: i fondi sono un’incognita»

Doppio appuntamento venerdì 29 e sabato 28. «La ricerca in Italia? Il futuro non è scritto, c’è la sopravvivenza quotidiana»
Valeria Pace
Elena Cattaneo, biologa e senatrice a vita, è fra gli ospiti di punta a Trieste Next 2024
Elena Cattaneo, biologa e senatrice a vita, è fra gli ospiti di punta a Trieste Next 2024

Avremo sempre più bisogno di scienza per rispondere alle grandi sfide del futuro. Ma il rapporto tra scienza e politica non è sereno o privo di problemi: «Faticano a comprendersi, è come se parlassero lingue diverse», conferma Elena Cattaneo, biologa e senatrice a vita.

Il suo ruolo in Parlamento le ha permesso di osservare il processo legislativo e di ascoltare dibattiti in Aula su temi scientifici. Certo, la politica risponde alle logiche del «consenso» e la scienza solo a «fatti ed evidenze», ma le due sfere potrebbero entrare in un rapporto più proficuo se ci fosse un ente «che garantisca una consulenza scientifica al servizio dell’attività legislativa» come avviene in altri Paesi, suggerisce la professoressa.

Cattaneo sarà una degli ospiti di punta di Trieste Next, il festival della ricerca del capoluogo Fvg, che quest’anno è promosso dal gruppo Nord Est Multimedia (Nem) che edita anche questo giornale. Interverrà due volte: presenterà il suo nuovo libro “Scienziate” venerdì 27 settembre alle 18 in piazza Verdi, e terrà una keynote lecture sabato 28 mattina alle 11.30 al Verdi dal titolo “Huntington: non c’è cura senza ricerca”.

Professoressa, la pandemia ha cambiato lo status dello scienziato nel dibattito pubblico? La transizione verde, l’AI e il cambiamento climatico rendono il contributo degli scienziati sempre più urgente. La nostra società e gli scienziati sono preparati per assumere questo ruolo?

«Politica e scienza fanno fatica a comprendersi, come se utilizzassero due lingue diverse: per la scienza parlano i fatti e le evidenze, nient’altro. La politica invece spesso è mossa dalla necessità di consenso, restia a toccare argomenti percepiti come particolarmente sensibili tra i cittadini. Con la pandemia il dialogo è stato obbligato, e a tratti anche proficuo, penso alla campagna vaccinale, ma non sono mancati equivoci e difficoltà. Ho sperato in un cambiamento, ma sembra che nemmeno la memoria di quell’emergenza abbia aiutato a impostare un dialogo costante tra scienza e politica. La scienza continuerà ad accumulare e a condividere nuove conoscenze; l’auspicio è che la politica ne tenga conto, senza manipolarle né tentare di occultarle. Ma esempi come Stamina, Xylella, la biodinamica, fino al divieto di produrre e commercializzare la carne coltivata, spiegano quanto sia lungo il cammino».

Da senatrice a vita ha un osservatorio straordinario sulla vita pubblica del Paese. Il Parlamento è attrezzato per prendere decisioni su temi scientifici? Le audizioni sono uno strumento sufficiente di formazione per i nostri politici?

«Sono utili, ma non sufficienti. In diversi Paesi, ad esempio, esistono strutture che garantiscono una consulenza scientifica al servizio dell’attività legislativa. Fra questi Francia, Germania, Olanda, Austria, Norvegia, Svizzera e Danimarca, oltre al più noto e antico Parliamentary Office of Science & Technology (Post) britannico. Tra le istituzioni europee, il Parlamento può contare su una struttura chiamata Stoa, mentre per la Commissione c’è il Joint Research Centre (Jrc) che studia in maniera indipendente le materie oggetto delle politiche europee per offrire prove ed evidenze scientifiche come basi su cui costruirle. Le buone pratiche a cui ispirarsi ci sono: spetta alle nostre istituzioni maturare la volontà di farle proprie».

Che futuro vede per la ricerca italiana? Cosa succederà dopo il Pnrr?

«Il futuro della ricerca italiana non è scritto da nessuna parte: c’è la sopravvivenza quotidiana, stipendi miseri per dottorandi, specializzandi, personale tecnico e amministrativo, posizioni accademiche scarse e spesso fuori portata, metodi di assegnazione dei fondi alla ricerca inaffidabili come tempi e valutazioni. Se questa è la diagnosi non si può non lavorare per favorire il cambiamento. A volte vedo accendersi l’interesse, in Parlamento e nel governo, e la consapevolezza del baratro. Dalla ricerca dipendono la possibilità di progresso, la competitività, la crescita economica, l’innovazione. Il post Pnrr? Un salto nel buio: la programmazione di lungo periodo non è la specialità italiana»

Professoressa, come mai ha scelto di rimanere in Italia a fare ricerca?

«Dopo l’esperienza all’estero, al Mit di Boston, ormai trent’anni fa, ho voluto provare a portare l’estero in Italia. Volevo lavorare nel e per il mio Paese. Ma sapevo anche che non avrei potuto limitare all’Italia il livello di confronto e di sfida tra le idee. All’Università Statale di Milano ho iniziato con un laboratorio di pochi metri quadrati; oggi siamo un gruppo di 25 persone, con diversi progetti in corso. Non è stato facile e continua a non esserlo».

Il tema di Trieste Next è “Gli orizzonti dell’intelligenza”. L’AI espanderà gli orizzonti della ricerca farmacologica? Sconfiggeremo sempre più malattie?

«Nella scienza l’unico orizzonte è il prossimo esperimento. Prevedere cosa succederà domani è impossibile, ma ad oggi, in tema di ricerca farmacologica, mi hanno colpita alcuni studi sulla capacità dell’AI di simulare e predire le combinazioni più promettenti per ottenere molecole potenzialmente utili per nuove terapie. Ovviamente ciascuna molecola deve superare il processo di convalida, quindi essere studiata in modelli animali e successivamente in studi clinici sull’uomo».

Qual è l’ambito più entusiasmante?

«Tra gli aspetti che più mi affascinano dell’AI, pur non conoscendone la struttura, la meccanica e gli algoritmi alla base, c’è la sua versatilità e la possibilità di applicazione in campi lontanissimi tra loro come l’ingegneria sismica e la filologia. Me ne hanno parlato con entusiasmo Maria Giovanna Durante e Silvia Ferrara, due ricercatrici che hanno contribuito al libro “Scienziate”. Ferrara, filologa dell’Università di Bologna, sarà con me venerdì 27 a Trieste Next a presentare il libro e racconterà lei stessa come utilizza l’AI per decifrare lingue a noi ignote».

La presentazione del suo libro “Scienziate” è anche un’occasione per rendere omaggio alla prima direttrice scientifica di Next, Margherita Hack. Donne nella ricerca ce ne sono molte, e nella storia del nostro Paese ci sono esempi molto forti e influenti. A che punto siamo in termini di riconoscere il ruolo delle donne in questo ambito?

«Credo che siamo a metà del guado, se limitiamo lo sguardo alla nostra parte più fortunata di mondo. La strada verso la parità dipende dalla consapevolezza, anche delle stesse donne, che pregiudizi e schemi sociali sono stati inculcati in maniera inconscia fin dall’infanzia e dal tipo di testimone e di “lotta” che saremo in grado di passare alle nuove generazioni».

Riproduzione riservata © Il Piccolo