A Milano il derby di Madrid Real e Atletico da Champions

È il giorno della finale a San Siro con i blancos alla ricerca della “Undicesima” mentre i “colchoneros” allenati da Simeone sogna una prima volta storica
19.02.14, Milano, Stadio Meazza, Champions League, Milan-Atletico Madrid, nella foto: Simeone
19.02.14, Milano, Stadio Meazza, Champions League, Milan-Atletico Madrid, nella foto: Simeone

MILANO. Milano vicino l'Europa, diceva Lucio Dalla: e oggi lo è ancora di più, quasi una capitale, mai così bella e mai così viva a pochi mesi dalla conclusione di quell’esperienza globale maturata con la grande Esposizione Universale. Una nuova primavera per una città considerata a volte troppo nordica e soprattutto troppo nevrotica, con l'abilità però di sapersi reinventare nelle occasioni davvero importanti.

Oggi Milano è la capitale del calcio che conta, teatro del derby madrileno che vale la finale di Champions League fra il Real e l'Atletico. E la città si presenta preparata all'appuntamento, coinvolta e partecipe. Piazza Duomo è il centro, San Siro il cuore pulsante di un evento che sarà trasmesso via tv in 220 Paesi con un'audience che è stata stimata in 180 milioni di telespettatori. Unica nota malinconica l'assenza dell'Italia dalla partita che vale la Champions con la Juventus che ha gettato la spugna agli ottavi di finale. E allora resta indelebile il ricordo dell'Inter (una milanese...), che, nel 2010, a Madrid, alzò la Coppa al cielo nell'incredibile anno del Triplete firmato in panchina da Josè Mourinho (che intanto proprio ieri ha ufficializzato il passaggio al Manchester United).

Adesso invece la Champions è un affare tutto spagnolo in una partita che ha il sapore della rivincita per l'Atletico, sconfitto due anni fa nella finale di Lisbona da un Real che era a caccia della “Decima”. «A por la Undicesima» per i blancos, «nunca dejes de creer» per i colchoneros: sono questi gli slogan della finale in attesa che l'arbitro, l’inglese Clattenburg, dia, questa sera alle 20.45, il fischio di inizio. Il Real corre per il record assoluto dell'Undicesima, non più un'ossessione come la precedente; l'Atletico «non vuole smettere di crederci» e punta a conquistare la prima Champions per cancellare l'amarezza delle due finali perse (1974 e 2014). In palio c'è l'egemonia della Capitale, della Spagna, dell'Europa intera. Madrid domani diventerà comunque la città con il record di Champions vinte, 11 in bacheca. Detronizzata Milano che ne ha collezionatedieci.

La finale potrebbe poi sfatare anche alcuni tabù. San Siro non porta bene né al Real Madrid né a Cristiano Ronaldo. Il campione portoghese, primo giocatore di sempre a segnare almeno 50 gol a stagione con lo stesso club e distante una sola rete dal record di 17 in una singola edizione di Champions, non ha mai segnato né vinto in ben quattro occasioni al Meazza. Ronaldo però potrebbe diventare il primo a segnare in tre finali di Champions League (2008 e 2014). In assoluto, invece, Di Stefano è stato protagonista della coppa dei Campioni, goleador in ben cinque finali. Il Real, in quattordici precedenti, non è mai riuscito a espugnare San Siro. Zidane può essere il quarto allenatore a vincere la Champions con lo stesso club sia da giocatore che da tecnico, mentre Simeone punta a diventare il terzo tecnico non europeo ad alzare la Coppa. Maledetto invece per l'Atletico Madrid è l'incrocio con i cugini del Real: per tre volte sono stati estromessi dalla competizione dai rivali. Nella semifinale '59, nella finale '14 e nei quarti '15. I Colchoneros sperano che la quarta volta possa essere quella buona. Ma, al di là del risultato, domani si confrontano due modi di intendere il calcio: da un lato il pragmatismo di Simeone che fa arricciare il naso ai puristi, dall'altro l'inventiva e la fantasia dei campioni ben orchestrate in campo da Zidane.

Introverso e schivo il francese, sanguigno e schietto l'argentino che sogna l'Inter e considera San Siro casa sua. «Nulla mi farebbe felice se non vincere. Poche squadre - afferma Simeone - ci sono superiori abbiamo stabilità, equilibrio, un'idea di lavoro, competenza. Io sono il leader di questa squadra». Zidane sa che deve crescere come allenatore, professa umiltà e dice: «Bisogna dare l'anima. Non farlo sarebbe peggio di una sconfitta. L'importante nella vita è non avere mai rimpianti».

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