Due anni senza il “Principe” Rubini La sorella: «Donerò un suo trofeo»

TRIESTE. Per i familiari era Rino, ma per l’anagrafe era invece Cesare Benito Bruto. E un padre da fez, viene da pensare. «Ma scherza? Mio papà era assolutamente antifascista. Noi eravamo Dalmati...

TRIESTE. Per i familiari era Rino, ma per l’anagrafe era invece Cesare Benito Bruto. E un padre da fez, viene da pensare. «Ma scherza? Mio papà era assolutamente antifascista. Noi eravamo Dalmati puri, i Rubcich. Nostro nonno paterno è stato presidente del tribunale di Sebenico, noi eravamo di Spalato, ma italianissimi. Siamo stati profughi della Grande Guerra per questo. E Benito era il nome di un uomo che allora rappresentava comunque il massimo dell’italianità». Oggi sono due anni che il “Principe” Cesare Rubini se n’è andato, portato via a 87 anni dalle complicazioni di una broncopolmonite. E la sua memoria vivente è la sorella Laura, l’unica superstite della famiglia Rubini a Trieste. «Quando gli consegnarono in Municipio il San Giusto d’oro (nel 1994, ndr) - ricorda la signora Laura - Cesare rivelò a tutti i presenti di essere nato in via Torretta, una trasversale di via Cavana e di essere quindi un triestino patoco». E per questo sentirsi chiamare “s’ciavo” gli era proprio insopportabile. «Non resisto mai quando qualcuno mi chiama così - ebbe a dire una volta lui stesso, raccontandosi - quando giocavo e mi urlavano questa parola piombavo sul pubblico e scaraventavo giù chi l’aveva detto. È umiliante, perché mia madre fin da piccolo mi diceva sempre: ’noi siamo italiani due volte, dopo la Prima Guerra abbiamo scelto noi di lasciare la Dalmazia’. E quando sento Fratelli d’Italia io mi commuovo sempre. Altro che s’ciavo».

Questo era il “Principe” (soprannome datogli a Napoli quando giocava a pallanuoto nella Rari Nantes, per via di quel portamento elegante e altero) Cesare Rubini, triestinissimo e dunque italianissimo. «È sempre tornato a Trieste, l’ultima volta pochissimo tempo prima di morire - ricorda la sorella - ci si trovava tutti insieme con i suoi amici inseparabili Duilio Degobbis, Livio Fabiani e si andava da Daneu, a Opicina, a mangiare gli gnocchi. E adesso Rino riposa qui a Trieste nella tomba di famiglia, vicino a mamma e papà».

La Pallacanestro Trieste ricorderà Cesare Rubini con una breve cerimonia nell’intervallo della partita contro Pistoia, il 24 febbraio. «In quell’occasione vorrei donare un trofeo di Cesare - rivela la signora Laura - un grande piatto d’argento che ho appena portato con me da Milano. Magari potrebbe essere affisso al palasport che porta il suo nome». Una bella idea. Ancora più bello sarebbe portare qui tutti i trofei vinti da Rubini per farne un museo. Il presidente della Fip Gianni Petrucci vorrebbe portarli al Museo del basket che vuole istituire a Roma, ma per la famiglia la localizzazione a Trieste sarebbe più logica, ovviamente.

«Cesare Rubini è stato probabilmente il più grande campione che lo sport triestino abbia mai forgiato, o perlomeno uno dei più famosi - lo ricorda il presidente dell’Acegas, Luigi Rovelli - l solo fatto di essere presente in due hall of fame lo testimonia più di qualsiasi parola d'elogio. Grazie al suo esempio e ai suoi insegnamenti molti giovani si sono avvicinati alla pallacanestro, dando vita a una seconda generazione di grandissimi giocatori che a loro volta hanno fatto proseliti in una sorta di marketing virale del basket triestino "ante litteram". Come presidente dell'unica società di basket professionistico a Trieste voglio ricordare un uomo che ha dato tantissimo al nostro sport e a una città che ha sempre portato nel cuore anche in anni difficili come quelli del dopoguerra». (ma.co.)

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