Fanini: «Cercai di salvare Pantani dalla droga»

BOLOGNA. Ivano Fanini, il patron della squadra ciclistica Amore e Vita, da anni in prima linea nella lotta al doping, nei primi mesi del 2004 si era messo in testa di recuperare al ciclismo Marco Pantani, che aveva già imboccato il tunnel della drog. Aveva in mente un progetto per farlo rientrare ma non fece in tempo a illustrarglielo. Voleva andarlo a cercare con un amico del Pirata, ma poi il 14 febbraio arrivò la notizia del decesso. «Ho pianto per Marco - ha raccontato Fanini - quando ho saputo della sua morte. Nei giorni precedenti Marco era introvabile, assente, disperato. Io che sapevo di questa situazione e insieme all'allora direttore sportivo dell'Amore e Vita Roberto Pelliconi, suo grande amico e compagno di squadra, avevo il chiodo fisso di andarlo a cercare per fargli cambiare vita, farlo tornare. Ma non abbiamo fatto in tempo». Il rapporto di Fanini con Pantani è sempre stato di affetto, ma anche di critica. «Da molti che non mi conoscono bene - ricorda ancora il Patron dell'Amore e Vita -, sono stato considerato il nemico numero uno di Marco perchè sono stato l'unico che denunciò il presunto scambio di provette con il suo compagno di squadra Forconi al controllo antidoping del giro ’98». L’Uci dopo i dubbi sollevati da Fanini concluse, comunque, che non era stata compiuta alcuna irregolarità nei controlli antidoping alla vigilia della penultima tappa del giro vinto dal Pirata e a cui vennero sottoposti tra gli altri, appunto, Pantani e Forconi. Quest'ultimo fu fermato perchè trovato con i valori di ematocrito superiori al 50%. «Ma io ho sempre, e da sempre, - spiega Fanini - attaccato tutti per fare pulizia contro il doping. Per primi i miei corridori. Feci smettere di correre tre dei miei perchè avevo scoperto che usavano l'epo. Da quei tempi, comunque, e grazie anche a me, il ciclismo sta cambiando». «Ora è giusto chiedere verità e giustizia non solo per la famiglia, ma per tutti - conclude il patron antidoping -. Marco era un idolo, un campione, era il ciclismo, era l'Italia, era tutto. Questo anche se faceva parte del sistema. Io Pantani lo conoscevo e lo seguivo anche da dilettante, quando senz'altro era pulito, ed era il più forte dalla nascita, un fuoriclasse».
Riproduzione riservata © Il Piccolo