Nino Benvenuti nella Hall of Fame delle glorie italoamericane

Il pugile di Isola d’Istria sabato a Chicago per la celebrazione della sua leggenda: «Mi capita anche questo: adesso finisco pure in un museo. Ed è straordinario»
L'ultimo abbraccio tra Nino Benvenuti e Emile Griffith
L'ultimo abbraccio tra Nino Benvenuti e Emile Griffith

TRIESTE. «Ebbene sì, adesso mi capita anche questo: finisco in un museo!» Nino Benvenuti sorride divertito. Quest’oggi salirà su un aereo diretto a Chicago, Stati Uniti: sabato sera bentrerà ufficialmente a far parte della National Italian American Sports Hall of Fame, dopo che già la International Boxing Hall of Fame e la World Boxing Hall of Fame lo avevano riconosciuto tra i più grandi pugili di ogni tempo.

Per il ragazzo di Isola d’Istria, il mulo che veniva in bicicletta ogni giorno a Trieste per allenarsi e che sarebbe diventato campione olimpico dei welter alle Olimpiadi di Roma 1960, è l’ennesima soddisfazione di una vita dedicata al pugilato, di una carriera che l’ha visto a metà degli anni Sessanta arrivare fino al titolo mondiale professionisti sia nei superwelter che nei medi. «Quella arrivata da Chicago è stata una bellissima notizia: finisco in questo museo dello sport italoamericano, di tutto lo sport, di tutte le discipline, assieme a personaggi come altri pugili quali Jack La Motta o Rocky Marciano, ma anche come il giocatore di baseball Joe DiMaggio e il pilota di automobili, istriano come me, lui di Montona e io di Isola, Mario Andretti. Posso dire che è la ciliegina sulla torta della mia vita: del resto, cosa volete, anche se non posso più salire sul ring visto che l’età ormai è quella che è, qualche soddisfazione me la prendo ancora».

 

Jack la Motta (a destra) sul ring contro Nino Benvenuti
Jack la Motta (a destra) sul ring contro Nino Benvenuti

 

Già, a 78 anni, Nino Benvenuti è ancora nel cuore di tutti gli sportivi italiani. Di chi ha vissuto attraverso mitiche radiocronache la trilogia degli incontri con Emile Griffith tra il 1967 e il 1968 o i confronti con Carlos Monzon e di chi invece ne ha soltanto sentito parlare ma comunque non li ha mai dimenticati. Due grandi avversari sul ring, due grandi amici dopo. «Non puoi non dimenticare amico di un pugile con cui hai diviso la bellezza di 45 round» ha detto una volta Nino di Emile. «Avere coscienza, attraverso un riconoscimento come questo, di essere rimasto nel cuore dei tifosi è bellissimo, soprattutto quando arrivi a una età come la mia - spiega Nino Benvenuti -. Non ci pensi, soprattutto non ritieni che davvero sia possibile ricevere un premio di così alto livello: è un qualcosa di talmente importante, ci pensate, essere assieme a personaggi come Jack La Motta o Joe DiMaggio. E adesso lì, insieme ai loro, ci sarà anche il mio nome. Mi sembra pazzesco, è stata una comunicazione che mai più mi sarei aspettato».

E oggi quando salirà sull’aereo Nino Benvenuti ripenserà alla sua carriera, 90 incontri da professionista dei quali 82 vinti (35 per ko) e 7 persi (2 per ko) con uno pareggiato. Penserà alle Olimpiadi di Roma, anno 1960, quando vinse tutti e quattro gli incontri che dovette affrontare, ricevendo anche la coppa Val Barker, destinata al pugile tecnicamente migliore del torneo. Penserà alla sua straordinaria carriera da professionista, ai titoli mondiali. Agli incontri nella leggenda: per dire, il primo match con Griffith e quello perso contro Monzon furono eletti Fight of the year. E poi anche alla fortunata carriera-post-carriera, da commentatore televisivo.

A proposito, Benvenuti, cosa ne pensa invece del pugilato azzurro di oggi? Alle Olimpiadi non è che abbiamo fatto una gran figura nonostante le premesse fossero ben altre... «Ma sa - spiega -, le Olimpiadi sono una gara strana: arrivano ogni quattro anni e non puoi scegliere. Devi essere nella forma giusta nel momento giusto al posto giusto e alla fine l’incontro può essere deciso da un dettaglio apparentemente insignificante. E poi comunque, credetemi, già essere in gara alle Olimpiadi è qualcosa di straordinario: lì davvero ti misuri con i migliori al mondo provenienti, e non è un gioco di parole, da tutto il mondo». Insomma, Nino Benvenuti assolve i nostri, da Clemente Russo (uscito di scena a Rio 2016 tra le polemiche) a Vincenzo Mangiacapre (frenato da una frattura a uno zigomo). Anche se poi quelle di Rio sono state Olimpiadi storiche per la boxe italiane: le prime con in gara con una pugile, la diciannovenne Irma Testa. Lui, Nino, cosa ne pensa delle donne sul ring? «No, non mi impressionano: sotto il profilo del temperamento sappiamo tutti molto bene quanto valgono le donne, quanto possono insegnare anche a noi uomini. E allora perché non potrebbero salire sul ring?»

E allora chissà: magari, fra quattro anni, a Tokio, potrebbe essere una donna a regalarci un’altra medaglia olimpica nel pugilato. In fondo già a Rio Irma ci è andata vicina. E sarebbe un’altra bellissima storia di sport. Quella di Nino Benvenuti, invece, è leggenda. Una leggenda da museo.

GuidoBarella

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