Pallacanestro Trieste, segnali di crescita dopo il ko contro il Galatasaray
La partita di Champions League ha messo in mostra le qualità di Trieste ma manca ancora la chimica e il giusto equilibrio di squadra

Un passo avanti nel gioco, l’incognita ancora evidente di una chiara mancanza di identità. La Pallacanestro Trieste esce sconfitta dal confronto contro il Galatasaray e lo fa lasciando sul campo sensazioni contrapposte.
Se da un lato la prestazione offerta contro la formazione turca, di gran lunga la più forte di questo girone di Champions League, regala segnali di ottimismo, dall’altro lato la gara ha messo a nudo un problema strutturale che rischia di rallentare la crescita del gruppo: l’assenza di una consolidata chimica di squadra.
Le rotazioni spinte e i continui cambi di quintetto influiscono inevitabilmente sulla capacità dei singoli di trovare un equilibrio sul parquet.
Contro il Galatasaray, pur lottando punto a punto e arrivando a un tiro dalla vittoria, Trieste ha mostrato ancora una volta un mosaico di soluzioni anziché un sistema consolidato ed è difficile, in queste condizioni, che si sedimentino i meccanismi essenziali per la gestione dei momenti caldi e per la costruzione di una leadership tecnica sul campo.
Il confronto con la mentalità turca non fa che rendere ancora più evidente questo gap. Il Galatasaray, che avrà in stagione un cammino parallelo e giocherà le stesse partite di Trieste suddivise tra campionato turco e Champions League, ha fatto della solidità dei suoi leader un’arma vincente, cavalcando con fiducia il quintetto composto da Cummings, McCollum, White, Palmer e Gillespie.
Le scelte di coach Sekizkov hanno permesso ai singoli di stabilire ritmi, ruoli e responsabilità, trasformando il talento individuale in efficacia collettiva, specialmente nei possessi che hanno deciso la partita.
Questione di gerarchie
Trieste, in queste prime uscite, assomiglia molto alla Tortona di Walter De Raffaele nella passata stagione.
Il rischio è che per far giocare tutti, alla fine, si scontentano tutti. Lo si è visto in alcune reazioni dei giocatori chiamati a uscire soprattutto nei minuti finali della gara. Ed è qui che si annida il dilemma tecnico più spinoso per lo staff triestino.
La squadra è ricca di potenziale, ma il potenziale va indirizzato ed è difficile farlo senza una chiara definizione dei ruoli, di chi ha la licenza di prendersi l’ultimo tiro e di gestire il pallone nei momenti cruciali. La necessità di stabilire gerarchie è palese. I leader tecnici devono emergere, non solo per qualità, ma per minutaggio e fiducia costante.
Il nodo cruciale è come procedere in questa direzione senza creare malcontento in un gruppo che, al momento, viene gestito con un’equità quasi matematica nelle rotazioni.
Mercoledì sera nessuno ha giocato più di 25’, Toscano Anderson, Sissoko e Ramsey sono stati in campo per 24’, Brooks, Candussi e Moretti da 15’ a 12’. Far emergere un quintetto base o un nucleo di uomini chiave significa inevitabilmente ridurre lo spazio per altri, una mossa che può essere certamente rischiosa negli equilibri dello spogliatoio ma che è indispensabile per il prosieguo della stagione.
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