Pizzul, 80 anni e un calcio che non c’è più


CORMONS. L'incipit è tutto un programma. Chiamiamo Bruno Pizzul e, prima di chiedergli un appuntamento per un'intervista in cui ripercorrere 80 splendidi anni (l'otto marzo il prestigioso traguardo, domani la grande festa che la sua Cormons gli tributerà), esprimiamo solidarietà per il furto subito in casa. E nella sua risposta c'è tutta la filosofia pizzuliana: «Ho preso questo fatto - sorride - come una sorta di attestato di stima nei miei confronti da parte della categoria dei ladri».
Dall'essere derubato della bicicletta a Milano a un furto in casa a Cormons: un... salto di qualità di cui avrebbe fatto volentieri a meno!
In realtà il salto di qualità c'era già stato a Milano: anche là subimmo la visita dei soliti ignoti. Certo però i colpi messi a segno nei confronti delle mie biciclette sono stati nettamente più numerosi: in media, sotto la sede Rai me ne portavano via una ogni due anni. Poi mi resi conto di come le attenzioni dei malintenzionati andassero sempre verso bici di marca. E così iniziai a girare con catorci: da quel momento i ladri mi calcolarono molto meno.
Possiamo dire che lei, da sempre privo di patente, sia stato un precursore del movimento in bicicletta?
Indubbiamente: quando iniziai, la mia era l'unica posteggiata sotto la sede della Rai. Adesso ce ne sono tante, di tutti i tipi. Ma il primo ad arrivare in ufficio in bici fui io.

Dalla bici al calcio: cosa è cambiato nello sport più amato d'Italia in questi decenni?
Una volta i rapporti tra giornalisti e calciatori avevano una radice umana più profonda, oggi invece bisogna passare per gli uffici stampa: all'epoca divenni amico di Facchetti, Rivera, Lodetti, solo per citare alcuni esempi. E poi c'era il Paròn Rocco, unico.
Con lui c'era un rapporto speciale?
Tra me e lui sin da subito ci fu una certa affinità dovuta soprattutto alle comuni provenienze geografiche. Mi prendeva in giro per il fatto che io fossi friulano: "Mi son de Francesco Giuseppe!", sottolineava orgoglioso. E poi mi ammoniva: "Bruto mona de furlan traditor dell'Impero!". Era davvero un grande.
Cosa ha rappresentato per lei il Friuli-Venezia Giulia in tutti questi anni?
Sono stato spesso lontano, ma ho sempre mantenuto un cordone ombelicale fortissimo con queste terre: qui si vive benissimo, e adesso mi emoziono ad ascoltare il canto degli uccelli nel mio giardino ogni mattina. Sono piccole cose che sottolineano la qualità della vita in provincia: è vero però che siamo ai confini dell'impero. Muoversi verso il mondo da qui è un'impresa: Milano è sicuramente più comoda per gli spostamenti.
Come mai il filone calcistico regionale si è inaridito negli ultimi anni?
Crisi della natalità, boom di altri sport, modi sbagliati di avvicinarsi al calcio, con genitori che mettono pressioni indicibili a bambini che dovrebbero solo divertirsi. E poi, probabilmente, la mancanza di fame sportiva: non è un caso che i principali campioni italiani di questi ultimi anni siano nati al Sud, dove c'è più necessità di emergere.
E pensare che ai tempi in cui giocava lei era l'esatto contrario...
Sono stato calciatore per tre anni a Catania, eravamo tutti del Nord: chiamavamo il nostro compagno di squadra Michelotti "il terrone". Era di Viareggio...
Un evento da ricordare di questi 80 anni?
Venni assunto in Rai nel 1969. L'anno dopo mi mandarono subito in Messico a seguire i Mondiali. Per me, alle prime armi, fu un'esperienza pazzesca.
È pronto per la grande festa in programma a Cormons?
È un mese che ricevo cinquanta telefonate al giorno, non ne posso più...
E giù una sonora risata: mille di questi giorni, caro Bruno.
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