Signori in lacrime: «Mai niente di illegale ma ora lascio il calcio»

BOLOGNA Le dita sugli occhi, come dopo un gol sbagliato. A venti giorni dall’arresto per il Calcioscommesse, 13 ai domiciliari poi revocati, Beppe Signori parla e piange. «Mi devo fare forza, non mi...

BOLOGNA

Le dita sugli occhi, come dopo un gol sbagliato. A venti giorni dall’arresto per il Calcioscommesse, 13 ai domiciliari poi revocati, Beppe Signori parla e piange. «Mi devo fare forza, non mi riconosco più». Poi nega di essere stato il capo di un clan, di aver fatto puntate illegali, di aver preso parte a combine. E, alla fine della conferenza stampa a Bologna, annuncia: «Penso di allontanarmi dal mondo del calcio».

Sono amare le conclusioni di Beppe-gol, 43 anni, tre volte capocannoniere in A, e arrivano dopo «un massacro», come definisce l’ultimo periodo, con l’inchiesta della procura di Cremona. «In 15 giorni mi sono stati distrutti 30 anni di carriera. Se sarò colpevole pagherò. Ma se non lo sono, qualcuno me li dovrà restituire». Signori non capisce, soprattutto, quello che chiama l’«accanimento mediatico». Forse, ipotizza, «mi porto dietro una nomea sbagliata, di scommettitore incallito. A me piace scommettere legalmente e poi guardarmi la partita con un’enfasi diversa. Ma io scommesse illegali non ne faccio. O quella del Buondì Motta, è illegale?», chiede, ricordando la celebre sfida (inghiottirlo in 30 passi) in un ritiro.

L’ex attaccante era entrato scortato dall’avvocato. Sbarbato, giacca blu e camicia bianca, i genitori a sostenerlo. Inizia, ma subito si blocca. Arrivano gli applausi a spronarlo. Allora si riprende e controbatte, una dopo l’altra, alle accuse. Nell’inchiesta ci sono 50mila intercettazioni, dice. «Io non ne ho neppure una. E sarei il capo dei capi? Come avrei parlato? Con i segnali di fumo? Non ho mai ricevuto, nè dato assegni o soldi in contanti», assicura, riferendosi a quel «maledetto 15 marzo», documentato dalle foto: l’incontro a Bologna con i commercialisti Bruni e Giannone, con Erodiani e Bellavista: «Sono andato dai miei commercialisti che mi avevano chiamato. Se c’è un errore, l’ho commesso andando all’incontro». Nel colloquio, ricostruisce, «non si era parlato di partite già fatte. C’era la possibilità, me garante, di avvicinare giocatori di A». Ma «ho risposto che certe cose non le facevo. E poi non avevo la possibilità economica».

Perché non l’ha denunciato? «Avrei dovuto denunciare un tentativo eventuale e millantato di combine neppure riuscita, facendo una figura meschina?» Si riferisce a Inter-Lecce: considerato “over” dagli scommettitori sotto inchiesta, terminò 1-0. E il famoso foglietto con le condizioni, sequestrato nella perquisizione in casa sua? «Se era importante, lo lasciavo lì per due mesi e mezzo? A nessuno è mai venuto in mente che se faccio una proposta, le condizioni dovevano essere trovate a casa di un altro?». Insomma, «falsità, inventate di sana pianta». Che lo portano, in attesa della fine dell’inchiesta, a decidere una pausa. Con il patentino da allenatore e due accordi quasi presi. Uno, ironia della sorte, come testimonial di Skysport365, un bookmaker austriaco.

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