A Cattinara il progetto “Panther” sulla cardiomiopatia dilatativa

la ricerca
Uno studio per riuscire a curare la cardiomiopatia dilatativa, una patologia che colpisce il cuore e nei casi più gravi può richiedere un trapianto. La Sc complessa di Cardiologia di Asugi e dell’università di Trieste svilupperà un innovativo progetto, denominato con l’acronimo Panther, finanziato dal ministero della Salute in collaborazione con l’Istituto Humanitas di Milano.
Si tratta di una ricerca molecolare che rientra nell’ambito di quella Cardiovascolare sviluppata nel reparto di Cardiologia dell’ospedale di Cattinara grazie anche al supporto della Fondazione CRTrieste e alla collaborazione ultraventennale con Icgeb, Irccs Burlo Garofolo, l’Istituto di anatomia patologica e l’Università Colorado Denver. Il progetto sarà finanziato con 450 mila euro dal ministero e avrà durata triennale. Si svolgerà tramite il test di modelli “in vitro" di cardiomiopatia dilatativa, una malattia del muscolo cardiaco che può condurre al trapianto, generati attraverso la tecnologia delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC). Si tratta di una tecnologia che consiste nel poter “ri-programmare” cellule adulte dei pazienti ringiovanendole in cellule simil-staminali e quindi facendole poi crescere e differenziare fino a riformare un modello dell’organo di interesse. La ricerca servirà a raggiungere tre obiettivi: arrivare a una diagnosi preventiva in pazienti e familiari, prevedere la risposta ai farmaci e, infine, la validazione di nuove strategie di stratificazione del rischio connesso alla malattia.
«Il gruppo coordinato dai giovanissimi ricercatori Matteo Dal Ferro ed Elisa Di Pasquale - spiega Gianfranco Sinagra, direttore del Dipartimento cardiotoracovascolare Asugi e UniTs - cercherà di perseguire questi obiettivi attraverso uno studio di associazione fra dati funzionali e biologici di modelli cellulari in vitro e parametri clinici dei pazienti, ottenuti dal Registro delle Cardiomiopatie di Trieste, uno dei più grandi database clinici europei, attivo da circa 40 anni e che include circa 1500 pazienti». —
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