Cittadella della disperazione nel ventre del Silos

Strutture realizzate con una composizione a rettangolo di recinzioni metalliche, di quelle che vengono solitamente utilizzate per delimitare i cantieri. E poi cartoni distesi e attaccati sopra, appiccicati l’uno all’altro, sovrapposti, a formare delle pareti tutt’altro che spesse. Rivestite in alcuni casi, per compattare il tutto e isolarlo per quanto possibile, da strati di pellicola da cucina, quella di cellophane che normalmente si utilizza per conservare i cibi. Così, in questo modo, avevano arrangiato quelle che per giorni e giorni sono state le loro “case”, ricoveri di fortuna, negli spazi ad oggi fatiscenti dell’estremità del Silos più lontana da piazza Libertà. Quella cioè più vicina al Porto vecchio, sul versante interno. Lì, in condizioni estreme, si era creata una sorta di cittadella nascosta, dove si erano stabiliti i 50 cittadini afgani richiedenti asilo politico e la ventina di rumeni trovati sul posto pochi giorni or sono dalla polizia nell’ambito dell’operazione di sgombero disposta dal questore Giuseppe Padulano.
Da mercoledì, una ditta sta operando per recuperare le proprie strutture metalliche, quelle che i senzatetto avevano appunto usato - dopo averle asportate dalla loro originaria posizione - per mettere in piedi queste capanne di fortuna, dallo scheletro di metallo ricoperto di cartone. Il lavoro degli operai avviene sotto la vigilanza della polizia: anche l’altro giorno una volante della questura si è portata sino alla zona più nascosta del Silos, gli agenti controllano che le operazioni si svolgano senza “visite” da parte di chi fino a qualche tempo prima, di notte, dormiva sui giacigli messi assieme in quel punto. Punto che si raggiunge dopo essere entrati nell’area parcheggio a fianco della stazione ferroviaria e aver costeggiato l’intero immobile che attende la ristrutturazione in nuovo palazzo dei congressi: al termine dell’edificio si gira a sinistra, si passa sotto l’arco della prima ala, poi sotto quello della seconda e infine ci si dirige ancora a sinistra. Qualche metro e, varcata la cancellata (che in assenza di chi deve operare in zona è chiusa con un lucchetto, ma che evidentemente viene facilmente scavalcata), già da fuori si nota qualcosa: basta infilarsi fra gli spazi aperti dell’edificio per capire poi quale fosse la situazione sino a qualche giorno fa. Fra le colonne, si susseguono i resti delle capanne. In una ci sono a terra ancora le coperte, un paio di scarpe. Più lontano si vede un passeggino rotto. E chi si era sistemato in questi spazi, aveva creato anche un’area per pregare. In un angolo, inoltre, una zona dove cucinare. Sparsi attorno: maglie, barattoli vuoti, bottiglie di plastica, cenere e pietre, in più punti tracce di fuochi accesi per scaldarsi.
Un operatore di uno dei negozi del parco commerciale interno alla stazione dei treni riferisce come nel corso delle settimane quelle persone «entrassero nel tratto al chiuso della stazione» stessa «per ripararsi, specie quando fuori pioveva o faceva particolarmente freddo», e come in alcuni casi «abbiano litigato, sino a che la situazione non è sfociata in una rissa. Alla sera, con la chiusura delle porte della stazione - aggiunge -, se ne tornavano verso il Silos. Questi accampamenti, anche dentro la stazione ferroviaria, non sono un bel biglietto da visita per la città».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo