Dagli archivi i nomi di chi riceveva da Roma fondi “fuori bilancio”
L'Ufficio per le Zone di Confine che dipendeva dalla presidenza del Consiglio dei Ministri erogava denaro a enti ma anche a singole personalità. Nel periodo del GMA, il Governo militare alleato, l'ente gestiva anche servizi di "intelligence" sulla vita in città, ma anche sui movimenti dell'esercito jugoslavo oltre confine. Don Edoardo Marzari, Marcello Spaccini, Gino Palutan sono alcuni dei nomi che ricorrono nei registri dei destinatari di cospicue somme erogate dal Governo italiano

TRIESTE. Otto milioni di lire a don Marzari. Oltre cinque milioni a Gino Palutan. Ancora otto milioni di lire alla voce “Marcello Spaccini”. Più otto milioni anche a Marino Szombately. E poi decine e decine di altri nomi, seguiti da cifre a sei zeri, una pagina dopo l’altra, e nella prima, in alto, la denominazione del capitolo di spesa: “Propaganda italianità”. Diversi fogli protocolli dopo, c’è il capitolo “Spese zone di confine”. Anche qui, con minuta calligrafia corsiva, una sfilza lunghissima di nomi e cifre. Pescando a caso tra le righe si incontrano ancora Silvio Rutteri (cinque milioni), di nuovo Marcello Spaccini, Szombately, e poi il prefetto di Gorizia, molte volte, e tante associazioni come la Lega Nazionale, la Camera del Lavoro, persino la Federazione esploratori italiani. Un nome sotto l’altro, in decine e decine di pagine di un libromastro manoscritto catalogato come “Registro impegni esercizio 1948-1949 - Fondi fuori bilancio”, al quale segue un analogo registro per l’anno 1949-’50. Anche qui nomi di privati, enti e società con importi complessivi superiori alle centinaia di milioni di lire.
Questi registri, queste pagine con l’elenco di nomi noti e protagonisti della più recente storia di Trieste sono documenti inediti, che si credevano perduti, e che sono ancora da studiare, analizzare e contestualizzare. E sono documenti che rappresentano solo una piccola parte dell’enorme mole di informazioni contenute nell’archivio dell’Ufficio per le Zone di Confine, in sigla Uzc, l’ente attivo nel dopoguerra, dal 1946 al 1954, alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio (di cui, fin dal 1947, era sottosegretario Giulio Andreotti), istituito per monitorare la vita quotidiana a Trieste durante il periodo del Governo Militare Alleato - anche attraverso una fitta rete di intelligence -, ma soprattutto per finanziare qualsiasi attività, ente o persona che potesse appoggiare l’italianità della città.
L’Uzc era il braccio operativo - in parte nascosto - con cui il governo italiano attuava la sua politica in un territorio dove non aveva potere, né giurisdizionale né tantomeno militare, cercando di manovrare con l’unico strumento veramente efficace a sua disposizione: il denaro.
Solo da un paio di anni a questa parte l’archivio dell’Ufficio per le Zone di Confine, fortuitamente ritrovato a Roma, catalogato e riordinato è a disposizione degli studiosi e degli storici. In particolare l’Istituto regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Villa Prinz, a Trieste, ha avviato un lungo percorso di ricerca ad opera di studiosi quali Raoul Pupo, Roberto Spazzali, Diego D’Amelio, Giorgio Mezzalira, Andrea Di Michele e altri, che permetterà nei prossimi anni di approfondire, e forse in qualche caso ridisegnare, la storia del secondo dopoguerra nella Venezia Giulia. Ma soprattutto permetterà di capire meglio i meccanismi e i retroscena della Trieste negli anni successivi al ritorno della città alla madrepatria, ridefinendo centri di potere, e le dinamiche economiche e politiche.
Basta aprire solo alcuni dei diecimila faldoni dell’archivio dell’Uzc per avere un’idea abbastanza precisa, anzi molto precisa, di quale fu lo sforzo finanziario del Governo italiano per appoggiare in ogni modo l’italianità di Trieste. Si sa, per esempio, che allo scopo nell’anno 1946-’47 Trieste ricevette 400 milioni di lire, che diventarono 700 nel 1947-’48 e 872 nel 1948-’49. Ma i documenti dell’archivio contengono grossi registri di rendiconti, pacchi di ricevute, documenti bancari, nonché minuziose liste dei beneficiari di fondi fuori bilancio, soldi cioè stanziati dal Governo italiano ma che non erano sottoposti al vaglio della Corte dei Conti. Soldi, in sostanza, sottobanco, che potevano essere spesi a piacimento dai beneficiari. Alcuni dai nomi ben noti, quali appunto don Edoardo Marzari, animatore dell’Azione Cattolica, presidente del Cln, eroe della Resistenza torturato dalle SS, primo segretario della Cgil triestina, fondatore dell’Opera Figli del Popolo. Oppure Marcello Spaccini, ingegnere, futuro sindaco democristiano di Trieste, o Gino Palutan, presidente di Zona, che a differenza dei colleghi di Gorizia e di Udine non viene mai indicato nei registri come “prefetto”.
Come venivano utilizzati questi contributi? Come e quanto il Governo di Roma riusciva effettivamente a indirizzare una strategia politica attraverso l’erogazione di un fiume di denaro?Molti fondi servirono, ad esempio, per gestire l’esodo dall’Istria e l’assistenza ai profughi. Tuttavia storici come Raoul Pupo hanno già sottolineato come «parlare di distribuzione di contributi significa, inevitabilmente, parlare anche di strategia politica». È ovvio che proprio tramite l’erogazione di denaro l’Ufficio per le Zone di Confine interveniva in modo determinante nel gestire l’azione delle forze politiche a favore dell’Italia, con l’obiettivo del ricongiungimento alla madrepatria di una città e di un territorio costretti a vivere in un limbo istituzionale e amministrativo e dal futuro quanto mai incerto. I documenti dell’Uzc dimostrano che l’azione avveniva non solo nei confronti dei partiti politici, ma anche verso le più varie forme di associazionismo, di singoli individui e, va da sé, della stampa locale. Un assistenzialismo programmato, diffuso, che contribuì a drogare non solo l’economia locale, ma il modo stesso di intendere i rapporti con il Governo centrale.
Non solo, ma accanto a una stategia squisitamente economica, l’Uzc di Roma effettuava anche un vero e proprio lavoro di intelligence , pagando spie e informatori per avere notizie su tutto quanto avveniva a Trieste, anche al di là del confine. Le buste d’archivio conservano fra l’altro numerosi report sugli spostamenti di truppe e mezzi lungo il confine da parte dell’esercito jugoslavo, con dovizia di particolari sugli armamenti, i reparti, gli schieramenti.
Gli informatori erano sguinzagliati un po’ ovunque, anche all’interno della Polizia civile, il corpo di polizia giudiziaria alle dirette dipendenze del Governo Militare Alleato, come vedremo nella prossima puntata.
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TRIESTE. Otto milioni di lire a don Marzari. Oltre cinque milioni a Gino Palutan. Ancora otto milioni di lire alla voce “Marcello Spaccini”. Più otto milioni anche a Marino Szombately. E poi decine e decine di altri nomi, seguiti da cifre a sei zeri, una pagina dopo l’altra, e nella prima, in alto, la denominazione del capitolo di spesa: “Propaganda italianità”. Diversi fogli protocolli dopo, c’è il capitolo “Spese zone di confine”. Anche qui, con minuta calligrafia corsiva, una sfilza lunghissima di nomi e cifre. Pescando a caso tra le righe si incontrano ancora Silvio Rutteri (cinque milioni), di nuovo Marcello Spaccini, Szombately, e poi il prefetto di Gorizia, molte volte, e tante associazioni come la Lega Nazionale, la Camera del Lavoro, persino la Federazione esploratori italiani. Un nome sotto l’altro, in decine e decine di pagine di un libromastro manoscritto catalogato come “Registro impegni esercizio 1948-1949 - Fondi fuori bilancio”, al quale segue un analogo registro per l’anno 1949-’50. Anche qui nomi di privati, enti e società con importi complessivi superiori alle centinaia di milioni di lire.
Questi registri, queste pagine con l’elenco di nomi noti e protagonisti della più recente storia di Trieste sono documenti inediti, che si credevano perduti, e che sono ancora da studiare, analizzare e contestualizzare. E sono documenti che rappresentano solo una piccola parte dell’enorme mole di informazioni contenute nell’archivio dell’Ufficio per le Zone di Confine, in sigla Uzc, l’ente attivo nel dopoguerra, dal 1946 al 1954, alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio (di cui, fin dal 1947, era sottosegretario Giulio Andreotti), istituito per monitorare la vita quotidiana a Trieste durante il periodo del Governo Militare Alleato - anche attraverso una fitta rete di intelligence -, ma soprattutto per finanziare qualsiasi attività, ente o persona che potesse appoggiare l’italianità della città.
L’Uzc era il braccio operativo - in parte nascosto - con cui il governo italiano attuava la sua politica in un territorio dove non aveva potere, né giurisdizionale né tantomeno militare, cercando di manovrare con l’unico strumento veramente efficace a sua disposizione: il denaro.
Solo da un paio di anni a questa parte l’archivio dell’Ufficio per le Zone di Confine, fortuitamente ritrovato a Roma, catalogato e riordinato è a disposizione degli studiosi e degli storici. In particolare l’Istituto regionale per la Storia del Movimento di Liberazione di Villa Prinz, a Trieste, ha avviato un lungo percorso di ricerca ad opera di studiosi quali Raoul Pupo, Roberto Spazzali, Diego D’Amelio, Giorgio Mezzalira, Andrea Di Michele e altri, che permetterà nei prossimi anni di approfondire, e forse in qualche caso ridisegnare, la storia del secondo dopoguerra nella Venezia Giulia. Ma soprattutto permetterà di capire meglio i meccanismi e i retroscena della Trieste negli anni successivi al ritorno della città alla madrepatria, ridefinendo centri di potere, e le dinamiche economiche e politiche.
Basta aprire solo alcuni dei diecimila faldoni dell’archivio dell’Uzc per avere un’idea abbastanza precisa, anzi molto precisa, di quale fu lo sforzo finanziario del Governo italiano per appoggiare in ogni modo l’italianità di Trieste. Si sa, per esempio, che allo scopo nell’anno 1946-’47 Trieste ricevette 400 milioni di lire, che diventarono 700 nel 1947-’48 e 872 nel 1948-’49. Ma i documenti dell’archivio contengono grossi registri di rendiconti, pacchi di ricevute, documenti bancari, nonché minuziose liste dei beneficiari di fondi fuori bilancio, soldi cioè stanziati dal Governo italiano ma che non erano sottoposti al vaglio della Corte dei Conti. Soldi, in sostanza, sottobanco, che potevano essere spesi a piacimento dai beneficiari. Alcuni dai nomi ben noti, quali appunto don Edoardo Marzari, animatore dell’Azione Cattolica, presidente del Cln, eroe della Resistenza torturato dalle SS, primo segretario della Cgil triestina, fondatore dell’Opera Figli del Popolo. Oppure Marcello Spaccini, ingegnere, futuro sindaco democristiano di Trieste, o Gino Palutan, presidente di Zona, che a differenza dei colleghi di Gorizia e di Udine non viene mai indicato nei registri come “prefetto”.
Come venivano utilizzati questi contributi? Come e quanto il Governo di Roma riusciva effettivamente a indirizzare una strategia politica attraverso l’erogazione di un fiume di denaro?Molti fondi servirono, ad esempio, per gestire l’esodo dall’Istria e l’assistenza ai profughi. Tuttavia storici come Raoul Pupo hanno già sottolineato come «parlare di distribuzione di contributi significa, inevitabilmente, parlare anche di strategia politica». È ovvio che proprio tramite l’erogazione di denaro l’Ufficio per le Zone di Confine interveniva in modo determinante nel gestire l’azione delle forze politiche a favore dell’Italia, con l’obiettivo del ricongiungimento alla madrepatria di una città e di un territorio costretti a vivere in un limbo istituzionale e amministrativo e dal futuro quanto mai incerto. I documenti dell’Uzc dimostrano che l’azione avveniva non solo nei confronti dei partiti politici, ma anche verso le più varie forme di associazionismo, di singoli individui e, va da sé, della stampa locale. Un assistenzialismo programmato, diffuso, che contribuì a drogare non solo l’economia locale, ma il modo stesso di intendere i rapporti con il Governo centrale.
Non solo, ma accanto a una stategia squisitamente economica, l’Uzc di Roma effettuava anche un vero e proprio lavoro di intelligence , pagando spie e informatori per avere notizie su tutto quanto avveniva a Trieste, anche al di là del confine. Le buste d’archivio conservano fra l’altro numerosi report sugli spostamenti di truppe e mezzi lungo il confine da parte dell’esercito jugoslavo, con dovizia di particolari sugli armamenti, i reparti, gli schieramenti.
Gli informatori erano sguinzagliati un po’ ovunque, anche all’interno della Polizia civile, il corpo di polizia giudiziaria alle dirette dipendenze del Governo Militare Alleato, come vedremo nella prossima puntata.
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