Dalla parte degli ultimi da 50 anni: la missione di San Martino al Campo

Le strutture dove accogliere i senza tetto, le attività a supporto dei giovani e l’ascolto dei detenuti in carcere. «Un punto di riferimento per i più fragili»
Silvano Trieste 17/11/08 Clochard
Silvano Trieste 17/11/08 Clochard



Primi anni Settanta, Trieste. Un uomo, che ha scelto di servire Dio, trascorre la maggior parte delle sue giornate sulla strada, per aiutare le persone che vivono nella marginalità. Carcere, droga, prostituzione. L’uomo, ben presto, si trova di fronte a un bivio: continuare in questa direzione o tornare a fare il “prete normale”. Forse, pensa, è meglio lasciar stare. Forse, i rischi sono troppo grandi. Eppure, forse, non immagina ancora quello che lo aspetterà. «Se Dio desidera che io continui per questa strada, mi darà qualche indicazione», si ripete don Mario Vatta. Il segnale arriva poco dopo, quando un gruppo di amici decide di camminare affianco a lui per credere in questo sogno. Sono passati cinquant’anni – oggi – dalla nascita della Comunità di San Martino al Campo, associazione di volontariato Onlus. Un faro che, grazie all’ascolto e alla condivisione, ha illuminato il percorso – non privo di ricadute e nuovi inciampi – di migliaia di persone.



«Quando suor Gaetana arrivò in Comunità – scrive don Mario in uno dei suoi libri –, con l’abito nero della sua congregazione, una scarsa scienza culinaria e una guida da pericolo pubblico, dubitai fortemente che sarebbe rimasta». Oggi, invece, suor Gaetana Dellantonio è la colonna portante del Dormitorio Centro San Martino, adiacente al Centro Diurno di via Udine, luoghi di accoglienza, sulle 24 ore, per persone senza fissa dimora. «La Comunità rimane una famiglia – racconta la religiosa –. È stato questo l’impatto che ho avuto quando sono arrivata ed è lo spirito che cerchiamo di trasmettere. C’è stato solo un momento, all’inizio, in cui mi trovai in difficoltà. Ma don Mario, con le sue parole, mi aiutò a non mollare». Legata al Dormitorio e al Centro Diurno c’è Casa Samaria, un appartamento che, da una decina di anni, accoglie per periodi più lunghi persone che arrivano dalla strada. Tre sono invece le residenze storiche della Comunità: Villa Stella Mattutina, rivolta a chi vive un’emergenza abitativa per problemi di alcol, di dipendenza da gioco o in uscita dal carcere, Casa Brandesia, che per quasi vent’anni ha accompagnato utenti del Dipartimento di Salute Mentale e in seguito ragazzi e ragazze con disagio sociale, e infine via Rota, che ospita persone con lieve disabilità mentale.



Tra i progetti più importanti pensati per i giovani c’è “Non uno di meno”, sostenuto dal Comune di Trieste, in collaborazione con le cooperative La Quercia e 2001 Agenzia Sociale. Uno spazio didattico ed educativo che cerca di contrastare l’abbandono scolastico. «Nel corso di dieci anni, il servizio si è strutturato sempre di più – racconta il coordinatore Riccardo Taddei –. Uno degli obiettivi principali è il reinserimento dei ragazzi nel circuito scolastico». A questo progetto sono collegati “Qualcuno con cui correre”, un percorso di sostegno pensato per gli studenti delle scuole superiori, e il centro di aggregazione giovanile Smac.



«Il corpo è sempre presente nel dialogo che intratteniamo con loro o nel silenzio che accogliamo – racconta Carmen Gasparotto, scrittrice e volontaria del “Gruppo carcere”, su il Punto, la rivista della Comunità –; rivendica l’identità sessuale, il pudore mortificato, il desiderio di affettività, talvolta la violenza subita dalle stesse compagne, la fragilità». Il Gruppo entra con continuità nella Casa circondariale di Trieste offrendo colloqui di sostegno, generi di prima necessità, attività di gruppo e formazione. «La vita dei detenuti, purtroppo, non è migliorata molto in questi anni – commenta Giorgio Frijo, referente dei volontari in carcere – ma il gradimento da parte loro per i nostri servizi è sempre molto alto».



E poi, tra le varie attività, ci sono quelle rivolte a persone in difficoltà economica e sociale, e i progetti di inserimento lavorativo, facilitati nel tempo dalla cooperativa Germano, nata nel 1983 dalla Comunità. La sede di via Gregorutti è invece, da sempre, il luogo del primo incontro. È qui che in molti arrivano per chiedere, non senza fatica, di essere ascoltati e aiutati.

«Il valore più grande è quello che la Comunità ha rappresentato per la città di Trieste, cioè un punto di riferimento essenziale per le persone più deboli e fragili – commenta Claudio Calandra di Roccolino, presidente di San Martino al Campo –. I bisogni sono cambiati, soprattutto nell’ultimo periodo, ma noi abbiamo cercato sempre di dare la risposta più adeguata». —



Riproduzione riservata © Il Piccolo