«Dallo Stato un segnale forte, là dove iniziò la responsabilità italiana nella Shoah»

TRIESTE «Trieste è una città simbolo. Il discorso folle di Mussolini in piazza Unità nel 1938, quando annunciò le leggi razziali, è per noi la data che segna l’inizio di quella che fu la responsabilità italiana nella tragedia della Shoah. E martedì torneremo in quella piazza, con il ministro dell’Interno Piantedosi, che omaggerà quella tragedia e le sue vittime: è un segnale forte di assunzione di responsabilità da parte dello Stato italiano, della necessità di intervenire, di ricordare, di esserci». Così la presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, che il 24 gennaio sarà a Trieste per numerosi appuntamenti istituzionali previsti nell’approssimarsi del Giorno della Memoria, che si celebra il 27 gennaio.
Presidente Di Segni, Trieste è stata scelta dal Governo come uno degli epicentri delle celebrazioni per il Giorno della Memoria. Qual è il messaggio?
«È un messaggio molto importante. Quello del ministro Piantedosi, che sarà presente assieme al Prefetto e agli altri rappresentanti istituzionali, non sarà infatti solo un breve e formale passaggio, ma un percorso che abbraccia diversi momenti, dalla commemorazione delle vittime davanti alla targa ai piedi del Municipio fino alla visita alla Risiera, per ricordare coma la persecuzione degli ebrei sia iniziata e finita, nel dramma di un campo di sterminio. E che a farlo sia il titolare del Viminale è particolarmente rilevante».
Per quale motivo?
«Perché ricordiamo bene il ruolo che il Ministero degli Interni ha avuto proprio in quegli anni. Quando si parla di Shoah è fondamentale capire che non si parla solo di nazismo e di Auschwitz, ma anche di quella che fu la responsabilità italiana, segnata da una data: l’annuncio di Mussolini della promulgazione delle leggi razziali, nel settembre del ’38, a Trieste, dove torniamo a 85 anni di distanza. Quella piazza era piena di gente, aveva accolto con entusiasmo le parole del Duce, e su tutto questo oggi è bene riflettere».
Come farlo?
«Cercando di capire come sia potuto accadere, per evitare che succeda di nuovo».
È una possibilità?
«Le masse ora stanno nelle piazze virtuali, ma ascoltano, leggono, guardano e seguono allo stesso modo chi ha posizioni di leadership. Forse non c’è più un Duce, ma ce ne sono tanti. E purtroppo nelle piazze virtuali circolano anche molte stupidaggini, irragionevolezza, odio. Per questo l’attenzione va mantenuta alta, partendo soprattutto dai giovani: laddove si lavora sull’educazione e sulla formazione dei ragazzi, l’investimento poi ritorna, perché da parte loro c’è voglia di capire. Sono processi lunghi e lenti, ma si deve iniziare, e lo si deve fare proprio dai giovani».
Che ruolo ha Trieste?
«È un punto di riferimento e una città simbolo. La Comunità ebraica triestina è molto ben inserita e ha un ruolo attivo e propositivo, vuole essere protagonista del presente e del futuro del territorio, nella costruzione di valore sociale e culturale. Ma il ruolo di Trieste non si esaurisce qui».
Ci spieghi meglio.
«La città è un vero e concreto intreccio, un travaso di storie, esperienze, culture, religioni. Io invito tutti ad venire a Trieste perché è un punto di riferimento, un esempio reale e interessante della ricchezza che un simile modello può dare, ancor di più oggi, nel quadro di un’Europa allargata che deve guadare a Est, anche alle nuove tragedie delle storia come quella ucraina».El. Col.
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