Diagnosi di celiachia, si cambia

TRIESTE Linee guida redatte a livello europeo con la partecipazione di ricercatori triestini e uno studio triennale, triestino anch'esso, che che ne conferma la validità. È lo scenario con cui la celiachia - l'intolleranza al glutine che in Italia registra oltre 170 mila casi - si prepara ad affrontare l'anno da poco iniziato. Uno scenario che porta la firma, fra gli altri, di medici e ricercatori del Burlo Garofolo e dell'Università di Trieste.
Alessandro Ventura, direttore del dipartimento di pediatria dell'ospedale infantile di Trieste, con un team di cinque pediatri ed epidemiologi in parte afferenti anche all'ateneo triestino - Elisa Benelli, Valentina Carrato, Stefano Martelossi, Luca Ronfani e Tarcisio Not - ha appena concluso un'indagine durata tre anni su 468 pazienti con malattia celiaca, ovvero intolleranza al glutine di natura autoimmune che, se non controllata, determina fra i molti sintomi disturbi intestinali e stanchezza cronici.
Scopo dell'indagine era validare linee guida guida diagnostico-terapeutiche formulate nel 2012 dalla società europea di gastroenterologia, di cui lo stesso Ventura fa parte, e sottoscritte subito dopo anche dai colleghi britannici. Linee guida che i pediatri e i gastroenterologi definiscono “rivoluzionarie”.
Mancava la conferma in sede clinica, arrivata al termine di uno studio prospettico durato, appunto, tre anni. Quali siano le principali novità dello studio e che prospettive si aprono per i soggetti celiaci lo spiega lo stesso Ventura.
Professor Ventura, qual è l'elemento di rottura col passato introdotto delle linee guida?
«L'elemento di novità è dato dal fatto che, dalla revisione della letteratura mondiale, emerge che la biopsia diodenale non sempre è necessaria. Il prelievo di mucosa intestinale effettuato per confermare l'atrofia dei villi intestinali, e dunque la tipica infiammazione da celiachia, è un'indagine invasiva, specie se pensiamo che questo disturbo viene diagnosticato nella primissima infanzia».
Qual è allora la reale novità diagnostica?
«Entrambe le società di gastroenterologia europee hanno concluso che, in una certa percentuale di casi in presenza di sintomi conclamati, la celiachia può essere diagnosticata semplicemente dosando due tipi di anticorpi. I primi, chiamati anti-tTG-IgA, sono anticorpi che l'organismo produce contro l'enzima transglutaminasi, che modifica certe proteine del glutine e induce l'organismo a credere che si tratti di sostanze nemiche, scatenando le difese immunitarie e causando, alla lunga, infiammazione. I secondi sono chiamati Aea. Se i primi sono dieci volte superiori a un valore soglia e se i secondi sono presenti, allora la biopsia non serve».
La diagnosi basata sugli anticorpi è possibile nell'11% dei casi. Non è poco?
«L'affidabilità dell'11% si riferisce a tutti i casi (dunque anche agli adulti). Nel caso dei bambini con meno di due anni, età in le indagini devono essere decisive ed è importante ridurre l'invasività, la percentuale sale al 37%. Dunque più di un terzo dei casi. Non è poco, e il nostro studio è il primo a livello mondiale a confermare fattibilità e sicurezza di questo approccio».
In Italia com'è stata recepita questa novità?
«Il ministro Lorenzin ha formato una commissione di esperti chiedendo di riformulare i protocolli correnti, anche per contenere le spese. E poi ha pubblicato le nuove linee guida italiane sulla gazzetta ufficiale lo scorso agosto».
E ora?
«Ora si cambia. In meglio».
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