Diamo un nome a questi ragazzini del ’17

Una fotografia di Gorizia nella Grande guerra. Una come tante, in apparenza. No, questa è speciale: c’è un gruppo di ragazzini accanto ad alcuni militari italiani. Siamo probabilmente nella primavera del 1917.
Chi sono questi ragazzini goriziani? Chi riconosce il papà o il nonno? Il nostro obiettivo è dare un nome a questi fanciulli di un secolo fa.
La fotografia è gentilmente concessa dallo storico goriziano della Prima guerra mondiale Pier Luigi Lodi.
Lodi, prima di tutto dov’è stata scattata la foto?
«La fotografia è entrata recentemente nella mia collezione. La didascalia originale, laconicamente, parla di un rifugio sul Castello di Gorizia».
Chi sono quei militari?
«Sono fanti del 201° Reggimento, Brigata Sesia, ed un paio di genieri: il caporale primo sulla destra, in piedi, è anche l'unico noto, perché ne è segnato il cognome: Brambati. Sappiamo dall'Albo d'oro che non morì in guerra, dei tredici caduti che portavano quel cognome nessuno era caporale del Genio».
Che rapporto ci fu tra la Brigata Sesia e Gorizia?
«La Sesia arrivò una prima volta a Gorizia alla fine di agosto del '16, dando il cambio a quelle Brigate, come la Etna, che avevano preso la città e che avevano ranghi perciò assai ridotti. Impiegata nella ottava sanguinosa "spallata" cadorniana del 10-12 ottobre sul Carso, prese definitivamente possesso del settore più delicato della difesa della nostra città l'11 febbraio del '17, quando proprio il 201° occupò la linea Corno, Castagnavizza, Seminario minore, manicomio».
Perché la foto è stata scattata in Castello?
«Nello specifico, il 201° ebbe compito di fortificare tratti importanti del Castello: all'interno del bastione del Re il 2° Riparto Zappatori del 201° scavò un notevole osservatorio blindato, tutt'oggi perfettamente conservato e ricco di enigmatici graffiti. In tutto il castello, in realtà, vennero allestiti apprestamenti difensivi e rifugi, alle volte riutilizzando precedenti opere dell'esercito imperiale e regio, che pure sul versante rivolto al Rafut aveva una baraccopoli riparata dalla cinta muraria. Il rifugio illustrato nella fotografia potrebbe essere stato usato da entrambi gli eserciti, anche se è verosimile ritenere che l'ingresso non fosse rivolto alla linea del fronte».
Qual è la particolarità di questa foto ?
«Non racconta una storia di eroici guerrieri, è un monumento a chi dei conflitti è la prima vittima: l'infanzia. I bimbi che posano accanto ai soldati, di spalle la loro mamma, appaiono composti ed in qualche modo a loro agio, in fondo anche vestiti con decoro se si pensa al periodo ed al luogo».
Quali particolari coglie l’occhio dell’esperto?
«Il piccolo in primo piano indossa una giubba da campo di foggia A.U. e possiamo facilmente immaginare che il suo papà ne stia indossando una vera, magari sul Fronte orientale. Quando è partito per la guerra, forse nell'agosto '14, la bimbetta bionda con i capelli corti, per necessità igieniche, e le scarpette di stoffa non aveva un anno, ad occhio. La ragazzina più grande, di spalle al piccolo, ha già lo sguardo di una giovane donna. Terribile scuola la Grande guerra. Un dettaglio, quegli stessi militari che hanno scavato il rifugio hanno posto un angioletto di ceramica all'ingresso della galleria. Mi piace pensare che li abbia protetti tutti».
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