È morto Biasutti, il volto del potere Dc
Era da tempo ricoverato all'ospedale di Udine. Per una legislatura è stato deputato della Dc

TRIESTE
. Lucido fino all’ultimo. Si è addormentato, lui che era tifoso dell’Inter, dopo aver visto in tv l’ultima vittoria. Accanto, i figli Stefano e Cesare, la compagna Maddalena. Adriano Biasutti è morto alle 3.30 dell’altra notte all’ospedale di Udine. Era malato da nemmeno un anno. Tumore allo stomaco. Operato nella primavera del 2009, era ritornato a incontrare gli amici, a costruire ipotesi di centro. «Un mese fa eravamo al bar: aperitivo e politica», racconta Gabriele Renzulli.
Era nato a Palazzolo dello Stella, ottobre 1941. L’ultima famiglia patriarcale del paese. Il padre, Stefano, commerciante di bestiame. La madre, cuoca, a gestire un’osteria. Studente al Bertoni, accanto a Giorgio Santuz, più vecchio, ed Enzo Cainero, più giovane, Adriano giocava a calcio, mediano sinistro, prima che un infortunio al ginocchio lo consegnasse alla dirigenza.
Aveva il piglio del comandante. E, calcio a parte, una passione: la politica. Proprio Santuz e Mario Toros, sinistra democristiana, ministro del Lavoro nel 1976, firmarono la sua prima tessera Dc, cui seguirono gli incarichi di responsabile del movimento giovanile, consigliere comunale a Latisana e segretario del presidente della Provincia di Udine dal 1968 al 1973, anno in cui Biasutti entra in Consiglio regionale. Vi rimarrà per 18 anni, otto dei quali, dal 1984 al 1991, da governatore, prima che si chiamassero così gli Illy e i Tondo. Antonio Comelli è presidente della giunta.
Biasutti fa l’assessore ai Lavori pubblici e alla ricostruzione dal luglio 1978 all’aprile 1980 e ai soli Lavori pubblici fino al luglio 1983. L’anno dopo, con la Dc al 34,2%, assume la presidenza. La prima di cinque giunte, mai meno di 8 democristiani nella squadra, 3 o 4 socialisti, un Psdi, un repubblicano. Presidente friulano benvoluto anche a Trieste, 2.545 giorni da padre padrone del Friuli Venezia Giulia, esperienza chiusa il 31 dicembre del 1991 quando si dimette per il Parlamento.
È al congresso di Gorizia nel 1984 che Biasutti, imponendosi sui ”vecchi” morotei, diventa segretario e leader della Balena bianca. «Leale, corretto, decisionista», lo definisce Ferruccio Saro, avvicinandolo a Bettino Craxi. Un decisionismo che, per i nemici interni ed esterni, confina con la prepotenza. Ma, nessuno glielo nega, Biasutti è anche il grande modernizzatore.
«Ci sono stati i Berzanti e i Comelli - dice Michelangelo Agrusti -, ma il vero di cambio di fase è arrivato con Adriano, presidente investito dalla volontà popolare prima dell’elezione diretta». Dalla ricostruzione in poi, insiste Agrusti, amico vicino fino all’ultimo, «la regione porta la cifra di Biasutti, federalista prima del federalismo, uomo dell’efficienza, capace di legare la politica alla gente». L’uso del potere? «Mai fine a sé stesso, sempre utilizzato per rinnovare». La delega ai sindaci nel post-terremoto, i rapporti con l’estero, l’intuizione di Alpe Adria, un politico «avanti», riconosce anche Santuz, il collega con cui, a fine anni Ottanta, non fu possibile evitare lo scontro.
«Eravamo emergenti - ricorda l’ex ministro ai Trasporti -, su molte cose avevamo punti di vista diversi. Ma stavo molto attento a quello che faceva e diceva, e lui altrettanto». Si scavalcano gli anni Novanta e il mondo cambia, lo tsunami Tangentopoli è dietro l’angolo. Nel 1994 Biasutti viene arrestato. Patteggerà per 3 anni e due mesi di reclusione. È la fine della carriera politica, l’inizio di un ruolo da osservatore con qualche tentativo di tornare in mischia. Si avvicina a Forza Italia, se ne allontana nel 2002 tuonando contro Renzo Tondo e il «deficit di democrazia» del partito berlusconiano, ufficializza la scelta di campo del centrosinistra nel 2005, sembra a un passo dalla Margherita ma non si concretizza nulla.
Nell’ottobre 2006, quando il centrodestra si prepara alla rivincita, si fa vedere a una cena azzurra a Codroipo, muove qualche critica al ”leaderismo” di Riccardo Illy, a inizio 2008 si spende per Enzo Cainero quale candidato della Cdl, rifiuta l’invito a fare l’anti-Honsell alla carica di sindaco di Udine ma qualche mese dopo rientra in pista come membro della commissione Paritetica. Si ammala, viene operato, combatte. Prima di Natale lo si vede ancora in giro, magrissimo «ma con una grandissima forza di volontà», dice Renzulli.
«Abbiamo bevuto l’ultimo bicchiere da Giordano all’osteria Al Fagiano. Gli piaceva il progetto di Tabacci», aggiunge l’ex socialista. Da un mese e mezzo gli amici lo andavano a trovare in ospedale. Stefano, il figlio, ricorda la partita dell’Inter, «la squadra del cuore». Ieri mattina, in Regione, le bandiere a mezz’asta e il minuto di silenzio in commissione. Martedì, in Duomo a Udine, i funerali.
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