Film, parole e sogni di Tullio Kezich sulla rotta Trieste-Milano-Roma

La mostra dedicata al grande critico cinematografico, scrittore e drammaturgo sarà presentata domani in un’anteprima per la stampa e che sarà inaugurata sabato, alle 17.30, nella Sala Attilio Selva di Palazzo Gopcevich
Tullio Kezich
Tullio Kezich
TRIESTE.
Il senso di appartenenza non faceva parte del suo mondo. Perché Tullio Kezich era convinto di poter vivere dovunque. E lo ripeteva spesso. Ma a ben guardare, in realtà, tre città hanno abitato la vita del grande critico cinematografico, scrittore e drammaturgo, lasciando in lui un segno profondo. Trieste, dove è nato e dove tornava sempre con gioia. Milano, l’amata-odiata porta spalancata sul mondo. Roma, il sogno del cinema e dello spettacolo.


E proprio da lì, da questi tre mondi, parte il progetto della mostra "La coscienza di Tullio. Kezich e le sue città", che viene presentata domani in un’anteprima per la stampa e che sarà inaugurata sabato, alle 17.30, nella Sala Attilio Selva di Palazzo Gopcevich. Promossa dall’assessore alla Cultura del Comune di Trieste, Massimo Greco, realizzata con la direzione di Adriano Dugulin e la cura di Stefano Bianchi.


Fotografie, locandine, manifesti di film e di spettacoli teatrali, materiali video, lettere, cimeli, una significativa selezione della sterminata bibliografia, racconteranno Tullio Kezich. Che ricordava sempre con un sorriso ammiccante di essere nato nel 1928, lo stesso anno di Topolino, in viale XX Settembre. A pochi passi dalla casa di Italo Svevo.


Ad accompagnare la mostra, che resterà aperta fino al 13 marzo, sarà un catalogo e una serie di conversazioni e proiezioni di film, tutti i giovedì a partire dal 20 gennaio, curati dall’Associazione Anno Uno, La Cappella Underground, Alpe Adria Cinema e La Contrada. Si potranno vedere ”Cuori senza frontiere” di Luigi Zampa, ”La leggenda del santo bevitore” di Ermanno Olmi, ”Ombre rosse” di John Ford, ”Il terrorista” di Gianfranco De Bosio, la prima puntata del televisivo ”Sandokan”, di cui Kezich curò la produzione, ”Venga a prendere il caffè da noi” di Alberto Lattuada, ”Noi che abbiamo fatto la Dolce Vita” di Gianfranco Mingozzi.


Da tempo Trieste pensava di dedicare un omaggio a Kezich. Racconta Alessandra Levantesi, critico cinematografico della ”Stampa”, moglie dal 1990 e preziosa collaboratrice dello scrittore: «L’assessore Greco aveva manifestato, già a gennaio, il desiderio di dedicare a Tullio una mostra. È stato di parola ed è riuscito a coinvolgere le più importanti realtà cinefile della città».


Un uomo, tre città: Trieste, Milano, Roma...

«Mi sembra che sia questo l’approccio giusto per raccontare il mondo di Tullio. Conoscendo bene la quantità e la qualità dei suoi interessi, sarebbe stato sbagliato dividere la mostra in tante sezioni staccate. Che so, separare il Kezich drammaturgo, il critico, lo scrittore, il giornalista, il grande amante del cinema».


Così la mostra ripercorre i suoi passi.

«Tullio era una grande personalità culturale e artistica. Solo seguendo il percorso della sua vita, andando a riscoprire la quantità multiforme di progetti che ha saputo portare avanti nelle tre città dove ha vissuto, si può ridargli voce».


Ovviamente non si può non partire da Trieste.

«È la città non solo dove è nato, ma della sua formazione. Qui ha ricevuto quell’imprinting culturale che, poi, l’ha seguito per sempre. E lo testimonia la sua opera».


Milano amore-odio?

«Lì ha cominciato a lavorare. È entrato nel mondo dell’editoria, si è sposato con Lalla, è nato suo figlio. Però provava un sentimento di odio-amore per la città. Nonostante questo, lì ha vissuto storie troppo importanti per poter liquidare in fretta il suo rapporto con Milano».


Roma, il grande sogno?

«Tullio è passato per Milano, ma ha sempre pensato che la città dove voleva vivere era Roma. Perchè è lì che si fa il cinema, lo spettacolo. Credeva a tal punto in questo sogno che l’ha vissuto per quarant’anni. È rimasto a Roma dal 1969 fino alla morte, il 17 agosto del 2009»


Il cerchio si chiude di nuovo a Trieste...

«Senza dubbio. Dalla fine degli anni Novanta, quando ha iniziato a scrivere le commedie in dialetto triestino andate in scena alla Contrada. Prima ”L’americano di San Giacomo”, nel 1998, poi ”Un nido di memorie” nel 2000, ”L’ultimo carnevàl” nel 2002 e ”I ragazzi di Trieste” nel 2004. E aggiungerei il romanzo ”Una notte terribile e confusa”».


In un tema scolastico, scritto quando aveva 13 anni, confessava: «Proprio non riesco a concepire la vita senza libri o film». Quella certezza l’ha seguito fino alla fine?

«Assolutamente sì. Tullio era l’incarnazione di quello che sosteneva Sigmund Freud. Ovvero, che l’uomo felice è chi riesce a esaudire i desideri di se stesso bambino. Lui non ha fatto altro, nella sua vita, che seguire la strada della letteratura, del cinema, del teatro. E pensare che sarebbe potuto diventare un ottimo giornalista...».


A Milano aveva iniziato la carriera?

«Per un periodo ha fatto anche l’inviato. Uno curiosissimo come lui, della vita, delle storie della gente, sarebbe diventato un grande. Però non ha mai perso di vista il suo desiderio più forte: quello di scrivere di cinema. E non ha voluto legarsi troppo alla carriera giornalistica».


Vita e lavoro per Kezich erano tutt’uno...

«Infatti, non smetteva mai di lavorare. Le angosce, le insonnie notturne, i malesseri li curava scrivendo. Quando non stava bene, gli bastava guardare un film, andare a teatro, per scordarsi di tutto. La sua vita era quella».


”Una dinastia italiana”, dedicato all’arcipelago Cecchi-D’Amico, è stato il suo ultimo progetto?

«Quel libro, che abbiamo firmato insieme per Garzanti, ci è costato otto anni di lavoro. Ma nel frattempo, Tullio non ha smesso di pensare ad altre cose. Come ”Il romanzo di Ferrara”, dove ha cucito assieme le diverse storie del libro inventando per la pièce teatrale il personaggio Giorgio Bassani. Una sorta di trait d’union tra i vari episodi in cui si specchiava lo stesso Kezich».


E poi?

«Non posso dimenticare ”L’attore”, adattamento dal romanzo di Mario Soldati per Giulio Bosetti. È andato in scena nel novembre del 2009, dopo che Tullio era già scomparso. E anche Bosetti stava già male: sarebbe poi morto il 24 dicembre».


Ma c’era un altro libro che gli stava a cuore?

«Quando ha saputo di essere ammalato, la sua prima domanda rivolta al medico è stata: ”Quanto tempo mi resta?”. Voleva finire a tutti i costi ”Federico Fellini il libro dei film”, che Rizzoli ha pubblicato postumo».


Non ha dedicato i suoi ultimi mesi a Fellini per caso.

«Fellini per lui è stato compagno, amico, quasi un alter ego. Evidentemente Tullio voleva salutarlo prima di andarsene. Solo il progetto del libro su Milano è rimasto incompiuto. Restano gli appunti».

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