Giorgio Berlot: «In Terapia intensiva sono morte persone che avrebbero potuto vivere altri dieci anni»

Il responsabile della struttura complessa di Cattinara smentisce alcuni luoghi comuni sulle vittime: «Non solo anziani». E ieri per l'ottava volta dall'inizio della pandemia si è superata ancora quota mille contagi  

TRIESTE «Smettiamola di dire che coloro che sono morti erano malati e anziani. Qui in Terapia intensiva Covid la stragrande maggioranza erano persone che avrebbero potuto vivere almeno altri dieci anni e anche bene, non immobili a letto». Giorgio Berlot, direttore della struttura complessa Anestesia rianimazione e Terapia antalgica, non ha visto solo ultra settantenni, ma anche quarantenni che non avevano nient’altro prima di spegnersi a causa del coronavirus. Nella seconda ondata la Terapia intensiva Covid di Cattinara, a Trieste, in poco più di due mesi, ha accolto circa 130 persone.

E intanto ieri, 5 gennaio, per l’ottava volta dall’inizio della pandemia il Friuli Venezia Giulia ha registrato oltre 1.000 casi di giornata. Si è saliti, secondo il bollettino della Regione, a 1.131 contagi, di cui 688 emersi da tampone molecolare e 443 da test rapido antigenico. Un dato molto pesante, cui si aggiungono 41 decessi, compresi 21 pregressi, mentre va solo un po’ meglio negli ospedali, con dieci ricoverati in meno rispetto a lunedì, quando si era pareggiato il picco della seconda ondata, quello del 9 dicembre. Sono numeri che non confortano (e che preoccupano per le valutazioni della seconda metà del mese), anche se quelli sotto osservazione nelle prossime ore a Roma per decidere il colore della regione, e le conseguenti misure di restrizione, sono relativi alla settimana precedente.

Dottor Berlot, quanti pazienti avete al momento?

Sono 19, con una media che oscilla tra i 16 e i 21. Abbiamo 30 letti attrezzati, ma possiamo utilizzarne di meno, perché come dappertutto, in Italia ed Europa, c’è una carenza di personale formato. Al momento abbiamo una disponibilità di 25 medici e 21 infermieri.

In base a che cosa variano i numeri di accessi?

In base alla crescita di contagiati: tempo dieci giorni e l’incremento lo registriamo anche qui. Prima di Natale abbiamo avuto una contrazione, che ci aveva indotto nella tentazione di ridimensionare finalmente i turni ma, neanche a farlo apposta, appena ne abbiamo parlato, sono arrivati tre pazienti di fila.



Quali sono i pazienti più in difficoltà?


Quelli che hanno più difficoltà respiratorie. Il Covid intacca tutto. Noi cerchiamo d’intervenire sui polmoni. Qualche volta è relativamente semplice, altre tosta. Una volta eliminato il virus, i polmoni sono irreversibilmente danneggiati in modo forte: è come se in un mese invecchiassero di 30 anni. Da noi restano tre, quattro settimane, che è la norma. Chi si libera dal virus, poi va in Terapia intensiva generale oppure in altri centri, ma la vita non sarà più come quella di prima.


Quando si viene dimessi dalla Terapia intensiva Covid?


Eseguiamo due prelievi di liquido all’interno del polmone a 24 ore di distanza. Quando gli esiti sono negativi, oltre al tampone, allora può avvenire il trasferimento in Terapia intensiva generale.

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Come si contagiano oggi le persone?

Non lo sappiamo con certezza. Ma qualcosa è andato storto. Probabilmente perché i criteri minimi non sono stati rispettati: mascherina portata con il naso fuori, distanziamento e lavaggio delle mani. Se uno rispetta e fa rispettare queste piccole regole, è difficile ammalarsi. Quello che stiamo vivendo oggi è la conseguenza dello shopping pre-natalizio. È vero che la stragrande maggioranza rispetta le regole, ma la situazione in alcuni casi era ingestibile sotto Natale. Bisogna ricordarsi che non si muore tutto d’un colpo, ma dopo due-tre settimane respirando sempre peggio.

Ci sono state ricadute?

Abbiamo avuto un paio di rientri in ospedale di persone che si sono ripositivizzate dopo essere uscite dalla terapia intensiva. In ospedale c’è stato solo un caso, che io sappia, di una persona che è uscita ed è poi è entrata di nuovo in Terapia intensiva, all’inizio con una patologia modesta. Questo perché può esserci stato un falso negativo oppure un falso positivo.



Quanti sono stati i morti in questa seconda ondata?

La mortalità su circa 130 pazienti è stata del 30%, con 40 decessi, contro il 23% della prima ondata. Ora sono triplicati gli accessi.

Quale età hanno?

Dai 19 ai 40 agli 80 anni. I pazienti troppo anziani non li prendiamo, solo se hanno un’insufficienza respiratoria non gestibile con la mascherina. Dobbiamo cercare di riservare le risorse ai pazienti che hanno più facilità di farcela.



Qualche esempio di ricovero?


Due donne di 44 e 42 anni e un uomo di 49. Nessuno aveva patologie particolari. Una donna ad esempio aveva avuto solo un po’ d’ipertensione in gravidanza e aveva partorito dieci giorni prima. Sono comunque persone provenienti da tutta la regione, solo una piccola parte è di Trieste.


Perché i pazienti non ce la fanno?


Muoiono per problemi di embolia o trombosi. Le donne sono pochissime. Sono comunque persone che avrebbero vissuto sicuramente ancora. Anche chi aveva patologie come il diabete o ipertensione. —




 

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