Harry Potter? Ci parla del Vangelo. Parola del pastore valdese Ciaccio

Nato a Belfast 45 anni fa, è approdato alla guida della comunità triestina dopo un’esperienza in Sicilia
Il nuovo pastore della Chiesa valdese Peter Ciaccio con la moglie Eva Valvo
Il nuovo pastore della Chiesa valdese Peter Ciaccio con la moglie Eva Valvo

Trovare punti d’incontro tra la cultura pop e le grandi tematiche della fede: è questa una delle passioni del nuovo pastore della Chiesa valdese di Trieste. Peter Ciaccio, nato a Belfast quarantacinque anni fa, è cresciuto a Roma. Sua madre era nord irlandese e metodista, il padre calabrese e di confessione cattolica.

Pastore Ciaccio, che cosa significa crescere in una famiglia mista?

Significa fare esperienza, sin da bambini, di diversità culturali che non possono essere schematizzate: per chi le vive esse rappresentano, semplicemente, la realtà. Vuol dire essere esposti a un sacco di domande: “Ma tu tifi per l’Italia o per l’Irlanda?”, è sempre stata una delle più gettonate. E poi, una grande curiosità per la mia confessione religiosa, che molti collegano al fatto che sono mezzo straniero: “Ah ok, sua madre era metodista, allora lo è anche lui, com’è naturale che sia”. Come se ci volesse una giustificazione per essere diversi.

Che importanza ricoprono, nella sua vita, la lingua e la cultura anglosassone?

Moltissima. Il fatto di conoscere l’inglese, ad esempio, mi permette di leggere giornali stranieri e di confrontarmi continuamente con altri punti di vista. E poi, sono un grande amante dei Beatles.

Ha anche scritto un libro che si intitola “Il Vangelo secondo Harry Potter”.

È vero. Ho sempre avuto un forte interesse per il cinema e ho cercato di non escludere questa passione dalla mia vita. Come? Occupandomi dei collegamenti tra la fede e la cultura pop. Mi sono reso conto, ad esempio, che nei libri di Harry Potter vengono affrontate diverse tematiche cristiane: non vengono trattate esplicitamente, ma chi conosce un po’ di teologia le riconosce facilmente. Un esempio? In una scena del sesto libro, il mentore del protagonista rischia di morire e dice al giovane mago: “Io non ho paura perché tu sei qui con me.” Ma queste sono esattamente le parole del Salmo 23, “Il signore è il mio pastore”. Voglio sottolineare una cosa: non è mio interesse “mettere la bandierina” su questo testo etichettandolo come cristiano (e neppure bollarlo come un libro satanico, come qualcuno ha fatto in passato). Il mio interesse è instaurare un dialogo tra spiritualità e cultura: lo scisma che c’è stato tra fede e scienza, così come la separazione tra fede e arte, sono dei traumi che non fanno bene né all’uno né all’altro.

Dov’era prima di arrivare a Trieste?

In Sicilia, una terra molto aperta, grazie alla consapevolezza di essere passata attraverso molte dominazioni: greca, romana, araba, normanna. Terminato il mandato a Palermo, la Tavola (l’organo che rappresenta ufficialmente le Chiese metodiste e valdesi nei rapporti con lo Stato e con le organizzazioni ecumeniche) mi ha assegnato alle Chiese evangeliche metodista e valdese di Trieste: mi trovo qui da luglio scorso.

Che cosa si aspetta da questa città?

Trieste mi è sembrata fin da subito molto simile all’Irlanda del Nord: un luogo di identità miste, dove la coscienza della frontiera può diventare una vera risorsa. Le nazioni, alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, hanno voluto forzatamente definire dei confini: “Qui siamo italiani, lì siete tedeschi, lì ci sono gli slavi”. Ma queste sono solo decisioni politiche, portate avanti in maniera “artificiale”. Arrivando qui, ho avuto l’impressione che questa città non si possa leggere soltanto attraverso le lenti della nazionalità. E questa, secondo me, è una grande ricchezza: la frontiera vista non come un luogo di divisione, ma come un luogo di condivisione. —


 

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