Il padre del ragazzo aggredito dal prof: «Non voglio le scuse»

«Di questa spiacevole vicenda trovo conforto nel fatto che mio figlio non abbia risposto con la stessa moneta alla violenza che gli è stata riversata addosso. Chissà se al suo posto ne sarei stato altrettanto capace? Mi fa piacere che possa essere migliore di me, mi fa sperare che le generazioni future riescano ad essere più sagge di noi e sappiano risolvere le loro questioni senza ricorrere all'uso della violenza». Il padre dello studente aggredito da un insegnante davanti al liceo scientifico Galileo Galilei nel “giorno dei gavettoni” (diventata purtroppo la cerimonia di ogni fine anno scolastico) ha scritto una lettera aperta indirizzata al Piccolo. Il genitore, che chiede di omettere il nome e cognome per evitare di turbare il figlio impegnato nell’esame di maturità) si rivolge direttamente al professore di lettere Paolo Privitera, responsabile dell’aggressione: «A volte anche un piccolo gesto può fare una grande differenza, mi dica: lei al suo posto come avrebbe reagito?». Domanda retorica. Il padre mette in dubbio la versione dell’insegnante di lettere del Galilei che spiegò il gesto violento con la provocazione subita dal ragazzo che l’aveva sfidato con frasi offensive e agitando una bottiglia di plastica davanti al volto. «Non avendo assistito personalmente a questo increscioso incidente - scrive il genitore - preferisco non entrare nel merito di come, secondo lei, si sarebbe comportato mio figlio nei suoi confronti, con parole e azioni di sfida che lei attribuisce a mio figlio, ma non trovano riscontri in quanto raccontano lui e i numerosi testimoni presenti, ma per questo ho fiducia nell'operato dei carabinieri che stanno procedendo alla precisa ricostruzione dei fatti». Anche le scuse, formulate dall’insegnante, non sono apparse sincere. «La mia perplessità - spiega il padre -sorge dal fatto che nelle sue dichiarazioni al giornale non riesca a trovare traccia di quel pentimento, mentre lascia spazio a svariate giustificazioni del suo gesto fino a coinvolgere l’affetto nei confronti dei suoi allievi più piccoli e indifesi, dimenticando forse che fra qualche anno proprio loro potrebbero passare dalla parte di chi lancia “gavettoni” ed annaffia d’acqua i propri compagni, perché non di bullismo si tratta, ma di un rituale che potrà essere anche discutibile ma si tramanda da decenni e resta inteso in forma di gioco». I “gavettoni”sono educativi, un rito di passaggio che aiuta a crescere, a diventare grandi. Come il nonnismo nelle caserme. Mah. Il problema restano le scuse del professore, insufficienti e incomplete. «La sua lettera al giornale sarebbe potuta rivelarsi l'occasione per presentare delle scuse più ragionate. Sarebbe forse stato il caso di estendere quelle scuse anche alla famiglia dello studente che, in seguito al suo gesto, si è trovata catapultata insieme a lui tra corsie d'ospedale e stazioni dei carabinieri. Ormai sono passati diversi giorni e se a tutt'oggi non ha sentito la necessità di presentarci delle scuse non lo faccia ora, ormai ci sarebbe difficile allontanare il sospetto che potrebbero non essere sincere».
E per un genitori che non accetta scuse, ci sono delle insegnanti che rivendicano delle attenuanti generiche («che non sono una giustificazione») per la “reazione eccessiva del professor Privitera”. «Per anni, come insegnanti - scrivono Gianna Savarino e Stefania Iapoce - abbiamo assistito a quelli che sono definiti come “scherzi ai più giovani”. Quegli scherzi si traducano in lanci di palloncini riempiti con acqua (i cosiddetti gavettoni) che, oltre a inzuppare i poveri malcapitati, costituiscono un vero pericolo per chi se li vede arrivare sulla faccia o sulla testa. Di più: quando gli insegnanti si avvicinano ai ragazzi delle quinte chiedendo loro di fermarsi e di permettere ai più piccoli di entrare a scuola, spesso vengono affrontati con risa di scherzo se non addirittura con espressioni irripetibili nei confronti di chi li ha seguiti per tanti anni cercando di infondere loro quel rispetto di cui tutti, grandi e piccolo, hanno diritto».
E le scuse? Vanno accettate e vanno porse. «Ci auguriamo che il giovante maturando si riprenda presto e affronti con grinta (è qui che ci vuole la grinta!) gli esami, gettandosi alle spalle quanto accaduto, accettando le scuse che il professore gli ha fatto, e porgendogliele a sua volta, visto che, come è inaccettabile ricevere un colpo sullo zigomo, è altrettanto inaccettabile rivolgersi al proprio interlocutore insultandolo». La maturità è anche questo. (fa.do.)
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