IRAN, AL ROGO LA BENETTON

Investono la Benetton le fiamme sprigionate dalle tensioni mediorientali, bruciando un negozio del gruppo a Teheran. Il regime iraniano è un radicale oppositore dello Stato di Israele e il principale alleato di Hamas, che sostiene anche con una forte mobilitazione interna. È in questo scenario che si riaccende il mai sopito scontro sulla presenza della Benetton in Iran.


L'azienda trevigiana ha puntato molto su quel mercato, contando su due fattori. La particolare struttura demografica del paese, oltre il 60 per cento dei circa 70 milioni di abitanti ha meno di 30 anni, giovani e giovanissimi, cresciuti più che nel mito della Rivoluzione e del martirio a Nike&Internet, potenziali consumatori dei prodotti United Colors. La scommessa implicita, che, prima o poi, le correnti pragmatiche e riformiste avrebbero preso il sopravvento, attenuando i caratteri ideologici del regime e i suoi severi costumi. Esito bloccato dalla resistenza di conservatori religiosi e radicali, sfociata nella vittoria di Ahmadinejad quattro anni fa.


La Benetton aveva già subito attacchi da esponenti del regime nell'ottobre 2007. Aggravati da un'immaginaria accusa rivolta al fondatore del gruppo, mai facile da contrastare in una realtà politicamente ipersensibile e oggi riesumata, di essere un "miliardario sionista". O, nella versione meno personalizzata ma altrettanto carica di implicazioni, di guidare un gruppo connesso con la "rete sionista". Ma, allora, la campagna avviata da ambienti legati ai radicali di Ahmadinejad e ai conservatori religiosi della Guida Khamenei, aveva imboccato vie più istituzionali, finendo davanti al Majlès, il Parlamento. Secondo suoi accesi critici, il gruppo trevigiano, che da qualche anno gestisce direttamente il mercato nella capitale e in altre importanti città iraniane, avrebbe una strategia commerciale "troppo aggressiva".


Nonostante la Benetton venda in Iran abbigliamento femminile indossato solitamente sotto lo spolverino grigio d'ordinanza o i veli prescritti dal regime, le collezioni United Colours sono equiparate, dai rigidi custodi della purezza religiosa, a strumenti di "penetrazione della cultura occidentale". La cosmopolitica formula "unità dei/nei colori" annullerebbe le rivendicate differenze religiose e culturali, inducendo le ragazze a violare la morale islamica.


Tendenza diffusa soprattutto in ambiente urbano, in particolare a Teheran, dove le giovani donne sabotano la dimensione simbolica del velo facendone fuoriuscire i capelli. Se per chi compie tale gesto l'intento è sfuggire alla mortificazione della soggettività femminile, per i suoi detrattori mostra, invece, un'ostentata volontà di ribellione al regime, che trasforma "la seduzione in sedizione". In questa lotta per il controllo sociale del corpo femminile, vero barometro degli equilibri tra fazioni, la questione dell'abbigliamento assume caratteri inevitabilmente politici. Tanto che lo stesso governo di Ahmnadinejad, per contrastare il maggiore appeal del look occidentalizzante, ha favorito la creazione di una moda islamica che mal tollera la concorrenza e l'espansione delle aziende occidentali del settore.


A Teheran il gruppo Benetton sta investendo in due grandi multistore. Progetto per il quale ha promosso un concorso internazionale di idee, aperto ad architetti, designer e creativi, chiamati a realizzare spazi ispirati a un'idea di modernità non troppo gradita ai severi custodi dell'ortodossia. La giuria di Designing in Teheran, presieduta da Odile Decq e di cui fa parte anche Tobia Scarpa, dovrebbe proclamare il vincitore entro aprile, nel pieno della campagna elettorale presidenziale. Il "caldo avvertimento" di via Dowlat è, probabilmente, una mossa in una partita che mescola insieme questioni di politica estera e interna.


Ahmadinejad è debole: la sua politica estera sconcerta quanti, nell'establishment, lo accusano di far prevalere la rivoluzione sulla nazione, mettendola a rischio. Il suo governo ha dilapidato le risorse accumulate nella favorevole congiuntura del mercato energetico senza realizzare la promessa redistribuzione del reddito a favore dei diseredati. Ora che il prezzo del petrolio cade, il presidente, deve limitarsi a proporre agli iraniani la fine della storica defiscalizzazione del prezzo della benzina in cambio di pochi spiccioli ai mostazafin, i "senza scarpe". Una social card in salsa islamica che non soddisfa nessuno. Ahmadinejad sa che la sua rielezione è il pericolo, anche perché l'appoggio di Khamenei non è affatto scontato. La Guida potrebbe dare il via libera a uno dei leader dei "conservatori critici", il potente leader del Parlamento Larijani o il sindaco di Teheran, Qalibaf. Per avere qualche chance le forze che sostengono Ahmadinejad devono sfruttare le tensioni internazionali che consentano una mobilitazione contro il Nemico esterno, Israele o Stati Uniti, e delegittimare i possibili avversari del presidente.


E qui si innesta la vicenda Benetton, che coinvolge direttamente il potenziale candidato presidenziale Qalibaf. Secondo i suoi critici il sindaco della capitale non solo ha concesso le licenze commerciali al gruppo ma ha tollerato a lungo che le insegne dei negozi fossero in inglese e non in farsi, la lingua nazionale. Oggi sono i megastore in Avenue Vali Asr ad attizzare critiche. E forse qualcosa in più. A dimostrazione che vendere magliette a Teheran, così come, ci ha ricordato Azar Nafisi, leggervi la Lolita di Nakobov , è un atto altamente politico.

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