La vera fine del soldato Scribante fucilato nel cimitero di Begliano

SAN CANZIAN D’ISONZO . Allo scoppio della Grande guerra Begliano di abitanti ne aveva 735 in tutto. Alla fine del conflitto, quando i cittadini della piccola frazione di San Canzian rientrarono da Wagna, dove erano tutti stati sfollati dall’impero austroungarico, trovarono nel loro cimitero un numero quasi equivalente di sepolture. Furono 540 i militari dell’Esercito italiano le cui spoglie trovarono riposo. Momentaneo, perché poi furono tutte traslate al Sacrario di Redipuglia. Soldati semplici e ufficiali che non poterono mai tornare a casa, nei piccoli centri dell’Italia centromeridionale e settentrionale da cui erano partiti, strappati nella maggior parte dei casi a una vita di contadini, senza sapere cosa li aspettava. Storie ricostruite dalla ricercatrice storica Desirée Dreos, nonché presidente della Sezione isontina della Società friulana di archeologia, che a Begliano ha presentato il proprio lavoro, assieme a Christian Selleri, la cui ricerca storica si è concentrata sulle fucilazioni e i processi sommari effettuati nel regio esercito e sul caso di Pietro Scribante, la cui esecuzione si consumò nel piccolo centro della Bisiacaria. A Begliano si spense però anche la vita, a 32 anni, del fornaio Antonio Di Ventura, originario di Penne, nel distretto di Teramo, morto il 17 agosto del 1917 nell’ospedaletto da campo installato in paese.
«A uccidere quest’uomo nato esattamente 90 anni prima di me le ferite riportate in combattimento», ha spiegato Desirée Dreos, raccontando anche del giovane sergente Michelino Campanelli, originario della piccolissima Capracotta, in provincia di Isernia, in sostanza svuotata di tutti i suoi uomini e ragazzi durante la prima Guerra mondiale. Il padre, avvocato, ne era stato sindaco, ma ciò, ovviamente, non evitò al figlio poco più che ventenne di essere spedito all’altro capo dell’Italia per combattere una guerra di cui pochi comprendevano il senso. «L’Italia era ancora da fare, un senso nazionale non c’era – ha spiegato Selleri –, e forse sta qui la ragione dell’elevato ricorso alle fucilazioni e alle decimazioni nel Regio esercito, ben superiore, anche in rapporto al numero di soldati mobilitati, a quello degli altri eserciti impegnati nel conflitto».
Le condanne a morte in contraddittorio, cioè dopo un veloce processo, eseguite furono 750, mentre le fucilazioni sommarie e le decimazioni provocarono 2 mila morti prima di Caporetto e circa 5 mila tra il 24 ottobre e il 12 novembre del 1917. Il pugno duro propugnato da Cadorna fu esercitato, anche in prima persona, dal generale Andrea Graziani, che Pietro Scribante, inquadrato nel 113esimo Reggimento della Brigata Mantova, ebbe la sfortuna di incrociare a Begliano. Scribante, il cui caso finì sulle colonne dell’Avanti nel 1919, era di suo una testa calda. Tant’è che la madre, Teresa Maranzino, quando il figlio partì per il fronte, si recò al santuario dell’Oropa per pregare che non tornasse, come raccontato da Enrico Scribante, discendente della famiglia, a Selleri. «Nato nel 1995 a Gattinara, Scribante viene chiamato alla leva il 24 novembre del 1914, ma ad aprile dell’anno dopo, prima dello scoppio della guerra – ha ricostruito Selleri con le ricerche effettuate in alcuni archivi di Stato –, lo ritroviamo in carcere per insubordinazione. Solo l’8 novembre del 1916 parte per il fronte, dopo un anno e mezzo di galera, per unirsi al 113esimo Reggimento». Dal foglio di ruolo risulta che Scribante morì in combattimento il 20 maggio del 1917. In realtà, in quei giorni si trovava con i commilitoni in paese per alcuni giorni di riposo, ridotti per decisione di Graziani, giunto a Begliano. Il giovane contadino piemontese, che i giorni liberi li aveva passati a bere vino come gli altri soldati, scatena un diverbio con un carrettiere, mentre Graziani passa a cavallo, vede la scena e subito ordina di prenderlo. Il processo dura 8 minuti e Scribante viene fucilato nel cimitero, nel frattempo ingrandito per fare posto a centinaia di morti in guerra. «Mai ritornati a casa loro, spesso mai pianti dalle famiglie che non avrebbero certo scelto di vederli sepolti a Redipuglia», ha detto Desirée Dreos. Per i morti bisiachi in Galizia, inquadrati nell’esercito austroungarico, non c’è però alcun luogo di sepoltura, ha osservato qualcuno presente all’incontro.(la.bl.)
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