L’Austria taglia le tasse per 5 miliardi

L’attuale governo austriaco – una coalizione tra socialdemocratici (Spö) e popolari (Övp) – è in carica dal dicembre 2013 e fin dalle trattative che avevano preceduto il suo insediamento, la riforma fiscale era stata un punto centrale del programma. In questi 16 mesi il confronto tra Spö e Övp è sembrato un dialogo tra sordi. Da una parte i fautori di una “tassa sui ricchi” (leggi: imposte su patrimoni, successioni, donazioni), dall’altra i fautori non di nuove tasse, ma di tagli all’enorme spesa dell’amministrazione pubblica. Alla fine l’intesa è stata trovata e ciò che più sorprende non è tanto il suo contenuto, quanto il fatto che Spö e Övp, che partivano da posizioni diametralmente contrapposte, abbiano potuto raggiungere un compromesso in tempo, prima della scadenza del 17 marzo , che essi stessi avevano prefissato.
La riforma tenta la quadratura del cerchio: una ridistribuzione del carico fiscale, alleggerendo i settori del lavoro e della produzione e introducendo qualcosa che possa assomigliare a un’imposta patrimoniale, ma senza farne il nome, per non far venire l’orticaria all’ala imprenditoriale dell’Övp. Il risultato è uno sgravio di 5 miliardi, che finiranno quasi tutti in busta paga. Ma ci sono anche due altre novità: l’abolizione del segreto bancario per le imprese e l’introduzione del registratore di cassa. Entrambe mirano a recuperare da altre parti le risorse necessarie per gli sgravi fiscali. Ricordiamo che il segreto bancario non esisteva già in caso di inchieste giudiziarie; d’ora in avanti non esisterà più nemmeno per gli uffici finanziari, che potranno così mettere il naso nei conti quando e come vogliono. Il registratore di cassa è la misura più sorprendente: l’Italia pensa di toglierlo, l’Austria decide di introdurlo. Reazioni indignate delle categorie interessate, negozi ed esercizi pubblici. Il governo assicura che non vi sono sospetti generalizzati di evasione fiscale nei loro confronti, ma poi ammette che dagli scontrini fiscali si conta di recuperare nel tempo fra i 3 e i 4 miliardi.
La misura più rilevante è la riduzione dal 36,5 al 25% dell’aliquota d’imposta sui redditi per lo scaglione più basso, quello compreso tra 10.000 e 25.000 euro (sotto i 10.000 non si paga nulla). Ai contribuenti rimarranno in tasca mediamente 1.000 euro all’anno. Invariate le altre aliquote, che salgono al 45,59% fino a 51.000 euro e al 50% oltre quella soglia. Per i redditi superiori al milione – questa un’altra novità della riforma – l’aliquota sarà del 65%, ma solo per i prossimi 5 anni, poi si vedrà. Tanto per fare un confronto, in Italia l’aliquota del primo scaglione (fino a 15.000 euro) è del 23%; quella massima (oltre i 75.000 euro), del 43%.
Altre novità in entrata: aumento dell’Iva al 13% per alcuni servizi (alberghi, cinema, teatri, musei, alimenti per animali, piante, sementi) che finora beneficiavano di un’aliquota ridotta al 10% (quella normale è al 20%); aumento delle imposte sull’acquisto di immobili e sul reddito da capitali (dal 25 al 27,5%). E poi alcuni interventi che la stampa cataloga sotto l’etichetta “Prinzip Hoffnung” (“Principio speranza”): lotta all’evasione fiscale e riordino dell’amministrazione pubblica per ridurne i costi. Sono voci che compaiono in tutte le riforme fiscali e che vengono sempre riproposte, perché evidentemente non hanno mai dato il frutto sperato.
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