Tredicenne morto nel pozzo a Gorizia: giudizio d’appello il 5 novembre

Per la morte di Stefano Borghes il sindaco Ziberna era stato condannato a un anno e 10 mesi. Parla l’avvocato Montanari

Francesco Fain
Il pozzo alla “Coronini” Foto Tibaldi
Il pozzo alla “Coronini” Foto Tibaldi

Mercoledì 5 novembre alle 9. La Corte d’appello di Trieste ha fissato la data per il giudizio d’appello relativo alla tragica vicenda del pozzo di Palazzo Coronini-Cronberg.

A ufficializzare la data sono gli avvocati Antonio Montanari, legale di Rodolfo Ziberna, e Dario Obizzi, difensore di Bruno Pascoli. Nel decreto, firmato dal presidente Paolo Alessio Vernì e dall’assistente giudiziario Michela Angela Blunda, viene ordinata la citazione degli imputati e delle parti civili, domiciliate ex lege nello studio dell’avvocato Salvatore Spitaleri del Foro di Udine.

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Il pozzo, oggi risistemato, in cui perse la vita il piccolo Stefano Borghes. Foto Tibaldi

Le pene del primo grado

Nel processo di primo grado per la morte di Stefano Borghes - avvenuta il 22 luglio 2020 durante la gara di orienteering organizzata nell’ambito del centro estivo delle parrocchie di Gorizia “Estate tutti insieme” - Ziberna era stato condannato a un anno e 10 mesi mentre i rimanenti cinque componenti del Curatorio dell’ente - Marco Menato (ex direttore della Biblioteca statale isontina), Tiziana Gibelli (ex assessore regionale alla Cultura), Raffaella Sgubin (direttore del Servizio ricerca, musei e archivi storici dell’Erpac), Maurizio Boaro (componente cooptato effettivo) e Bruno Pascoli (componente cooptato supplente) - erano stati condannati a un anno e 4 mesi ciascuno. A tutti erano, poi, state riconosciute le attenuanti generiche, la sospensione condizionale della pena e la non menzione.

Oggi, Antonio Montanari, l’avvocato del sindaco Rodolfo Ziberna, torna ad illustrare le motivazioni che stanno alla base della decisione di ricorrere in appello.

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Il tredicenne Stefano Borghes e, a destra, i soccorsi sul luogo dell'incidente al parco Coronini di Gorizia

L’attribuzione di responsabilità

«Letta con attenzione la sentenza (trentasei pagine fitte in cui si ricostruisce l’accaduto e si attribuiscono le varie responsabilità, ndr) mi sono fatto un’idea ben precisa: dopo la ricostruzione del fatto storico e del quadro normativo di riferimento, mi sembra che la Giudice non sia riuscita a spiegare, in modo a mio parere convincente, che cosa davvero Ziberna avrebbe dovuto fare, in concreto, per evitare il fatto».

L’aspetto su cui il legale goriziano si concentra e insiste è il «profilo soggettivo della colpa». Ovvero, quel criterio che imporrebbe di verificare, nelle condizioni concrete in cui il soggetto si è trovato, quale sia stata la vera ragione per cui non ha adottato le cautele che avrebbero impedito l’evento, ovvero la caduta e la morte conseguente di Stefano Borghes. «E se questa ragione, come io sostengo nell’appello, risiedesse in un insieme di circostanze che, ragionevolmente, hanno fatto ritenere a Ziberna che nel parco “fosse tutto a posto”, lui dovrebbe essere assolto», il ragionamento di Montanari.

E semplifica, ancora di più, il suo pensiero. «Mi domando come si fa a condannare una persona che, nelle circostanze in cui si è trovata, era convinta di aver fatto tutto, personalmente o tramite terzi, per eludere qualsiasi rischio di danno...».

La copertura

Nella sentenza di primo grado si evidenzia, testualmente, che «l’unico modo efficace per evitare l’evento sarebbe stato quello di dotare il pozzo di una copertura adeguata a supportare il peso previsto dalla normativa speciale (915 kg): copertura che andava assicurata ai bordi in muratura del manufatto, di modo da poter reggere una sollecitazione impressa dal peso umano, anche se aggravata da una maggiore forza nell’impatto rispetto a quella utilizzata nel caso di specie. Inoltre, la condotta del giovane non è stata affatto abnorme, trattandosi di un gesto di lieve appoggio al di sopra di una copertura che non consentiva di vedere all’interno, nella sostanziale impossibilità di percepire la profondità del pozzo, né l’instabilità della copertura, non essendovi alcuna segnalazione dell’entità del pericolo». —

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