Parole e abiti, l’eleganza è antidoto alla mediocrità

Galassie distanti miliardi di anni luce le cui luminose scie non s’incrociano mai o mondi con maggiori punti di contatto di quanto possa apparire a prima vista? Possono insomma filosofia e moda intrecciare un dialogo e trovare nell’apparente Babele delle rispettive torri un idioma comune che permetta loro di comprendersi? Oppure il gap tra convergenza-divergenza è troppo ampio?
Questo, in altre parole, il succo alla base del singolare incontro nel quartier generale dell’agenzia Eve, tra Pier Aldo Rovatti, filosofo, docente di Filosofia contemporanea all’Università di Trieste, collaboratore di Repubblica ed editorialista de Il Piccolo, e il direttore dell’International Talent Support, Barbara Franchin. «Moda come indicatore dell’evoluzione del gusto della società e come percorso di ricercatezza estetica ma, soprattutto - ha puntualizzato la padrona di casa - «non intesa nel senso frivolo e commerciale del termine». «Infatti – ha anche aggiunto – in questo incontro non pensavo di parlare di moda ma di cultura e creatività declinate ed espresse in abiti, accessori e gioielli». «Ah no? In verità non mi pareva di essere l’interlocutore più adatto. Di moda non so nulla e mi è sostanzialmente indifferente, anche se oggi mi sono sforzato di scegliere gli abiti seguendo una certa coerenza estetica», ha risposto incuriosito Rovatti, direttore della blasonata rivista di filosofia “aut aut”, che per l’incontro su fashion e filosofia ha esibito un outfit monocolore, polo e pantalone blue navy.
Sin dalle prime battute non è partito proprio liscio come l’olio l’incontro Franchin–Rovatti, che hanno aperto le danze affrontando la spinosa questione della scala dei valori da assegnare alle parole. Se per la cacciatrice di talenti la creatività si misura nella capacità di tradurre e sviluppare con originalità da un’idea un abito o un accessorio, per il filosofo è invece una parola decisamente inflazionata e spesso priva di contenuti: «Mah! Creatività non so cosa sia, nel senso che so fin troppo bene cos’è l’esatto contrario. Vale a dire, banalità e mediocrità», ha commentato il padre del “pensiero debole”, aggiungendo inoltre che «più passa il tempo e meno chiaro mi è il senso della vita, e questa non vuol essere una dichiarazione da bacio Perugina. Lavoro con le parole e mi crea disagio la sciatteria che le circonda. Amo le parole impertinenti e penso che bisognerebbe rivalutare il silenzio, le pause», ha chiosato tra il serio e il faceto.
«Vorrei peró riuscire ad arrivare a un concetto comune di moda – ha suggerito Franchin - per spiegare concretamente il senso di esistere di Its, una chiave di volta, insomma, per presentare il concorso nella sua globalità, e non solo la parte più visibile, quella della serata finale». Breve excursus sulle origini quindi e sull’immutata negli anni finalità del contest «che oggi come ieri - ha puntualizzato la sua ideatrice - è sempre quella di intercettare i futuri talenti di domani, sostenendone il potenziale creativo, il loro sogno lucido».
Su alte dosi di creatività in circolazione il filosofo ha confermato di nutrire poche speranze, soprattutto in una società poco interessata all’originalità e molto incline alla piatta uniformazione. Franchin, che invece nel talento dei giovani ci crede, ha espresso con convinzione la sua posizione fortemente anti-glamour nel competitivo mondo della moda, auspicando allo stesso tempo un ritorno all’artigianalità. Tirando le somme, il trasversale dilagare della banalità e della mediocrità – che ad ambedue gli interlocutori fa venire l’orticaria - si e rivelata la linea di pensiero condivisa. «Ahimè non ci si fa caso, ma le persone vestono i loro pensieri con parole non solo prive di sostanza ma anche di eleganza e musicalità. Cosí come è davvero raro imbattersi in interlocutori che amino il divertissement di un raffinato gioco di parole», ha commentato Rovatti circa l’impoverimento del bagaglio semantico della società in generale.
Dall’abito-parola del philosophos a quelli realizzati dai giovani aspiranti stilisti che tutti gli anni entrano nella rosa dei finalisti: «Ho la presunzione di saper riconoscere il talento e nonostante siano passate già numerose edizioni, mi emoziona sempre tantissimo seguire il percorso creativo di un progetto – ha spiegato Franchin, illustrando il sistema Its – come testimonia il nostro affollato archivio, dove sono custoditi migliaia di portfolio, prototipi di abiti e accessori». Altrimenti detto, originalità e capacità di trasformare la lucid dream-visione in un progetto di vita e di lavoro, possibilmente lontano dal sistema moda dei grandi numeri.
Dall’iper extravaganza che connota i progetti dei concorrenti, all’anonimità della divisa scolastica. E su questo tema piovuto casualmente nella conversazione, il Rovatti e Franchin pensiero prende nuovamente due strade divergenti: mentre il filosofo aborre una società (in)divisa e la uniformità coatta, la direttrice sostiene invece che il grembiulino sia una vera manna per combattere le diseguaglianze sociali tra i banchi di scuola a suon di etichette, loghi, smartphones e scarpe da ginnastica feticcio. Un’idea di moda, quella dei macro-colossi e dei brand urlati che, ribadisce, «a me non interessa, come non mi interessa quella della diffusione dell’abbigliamento di massa, della divisa modaiola che appiattisce il gusto personale». «Tu cerchi il sogno lucido – ha commentato Rovatti – ma non dimenticare che poi questi ragazzi entreranno molto probabilmente comunque nel sistema, e se fanno dei passi falsi, come può accadere, rischiano poi un brusco risveglio».
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