Quei miliardi di lettere dalla Grande Guerra

Due miliardi e 137 milioni di lettere e cartoline dal fronte nei quattro anni di guerra. Un miliardo e 509 milioni le lettere dal Paese al fronte. In un’Italia che era analfabeta al 40% (censimento 1911). Tre miliardi le lettere censite dalla Francia. In periodo di guerra impiegavano in media due o tre giorni ad arrivare a destinazione. Tempi di consegna che le Poste italiane di oggi, anche nella versione celere, faticano a rispettare. «Il servizio postale funzionava bene» racconta lo storico Antonio Gibelli a una platea del Teatro Verdi accorsa numerosa, nonostante il Carnevale che imperversava in piazza Unità, ad ascoltare la quarta lezione del ciclo “Guerra 1914-1918” organizzato dagli Editori Laterza con il Comune di Trieste (presente l’assessore Antonella Grim) e “Il Piccolo” con il contributo di AcegasAps, Fondazione CRTrieste. «Un fiume di corrispondenza per una storia raccontata dal basso» come ha ricordato la giornalista del “Piccolo” Arianna Boria presentando la lezione di Gibelli (“Lettere, diari e memorie di gente comune”). Il racconto parte da una lunga citazione del linguista austriaco Leo Spitzer (1887 – 1960), imboscato a Vienna in un ufficio del Ministero della Guerra. Il suo compito è di censurare le lettere degli internati Italiani d’Austria e poi dei soldati italiani prigionieri nella Monarchia. Dagli appunti tenuti a margine del suo lavoro, Spitzer, a guerra finita, tirerà fuori due libri incredibili, le Lettere dei prigionieri di guerra italiani (1922, tradotto in italaliano da Boringhieri solo nel 1976) e “Le circonlocuzioni per esprimere la fame” (1921, inedito in Italia). «Un italiano adattato alle esigenze dei più umili. Contadini, braccianti. La Grande guerra raccontato dai suoi più infimi protagonisti. Tema ignorato dalla storiografica ufficiale fino a 30 anni fa» spiega Gibelli. La corrispondenza da guerra è entrata a fare parte della storia che conta da pochi decenni. Prima le lettere sgangherate, mal scritte e sgrammaticate di contadini nelle trincee non facevano testo. Un racconto corale della guerra che ha gettato le prime ombre sulla Grande Guerra che ha mobilitato quasi 70 milioni di uomini, separando famiglie e comunità. Un enorme bisogno di comunicazione a distanza che solo le poste, in epoca pre-telefonica, potevano so«Al servizio postale militare, concentrato a Bologna, lavorano dalle 300 alle 400 persone giorno e notte. Una media di tre milioni di lettere movimentate al giorno» racconta lo storico. «Lo posta è il più grande dono che la patria possa fare ai combattenti» scrisse Piero Calamandrei che fu operatore dell’Ufficio Propaganda. E le lettere lo dimostrano. «Tutte le mattine nello spuntare del sole il mio primo mestiere è quello di prender la matita e inviarvi i miei più sinceri saluti e baci a tutti in famiglia. Intanto che vivo (e che mi trovo in questo posto) vene scrivo una al giorno» scriveva da una trincea sul Carso alla sorella il caporalmaggiore Francesco Ferrari, contadino bergamasco. «Che noi qua quando non sapiamo cosa face ci mettiamo a scrivere. E anche un divertimento» scriveva nel 1916 sempre dal Carso il bracciante vercellese Giovanni Panattaro scomparso nel nulla dentro la Grande Guerra. Di lui restano solo le lettere e le cartoline spedite. Su una delle ultime lasciò scritto: «Se io avrei tempo vi scriverei tutti i giorni».
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