San Canzian, flavescenza dorata in aumento: preoccupa il “caso Terranova”

Il coordinatore dei tecnici di UniDoc Fvg Degano invita a non sottovalutare i rischi.

L’area non distante da Fossalon dove c’è un’importante produzione di barbatelle

Laura Blasich

SAN CANZIAN. Va tenuto assolutamente sotto controllo il “caso Terranova”, dove la diffusione della Flavescenza dorata, fitoplasma trasmesso dalla cicalina Scaphoideus titanus, ha portato alla morte di ettari di vigne. Per eliminare l’infezione va tagliata del resto tutta la parte verde della pianta, che andrà poi eliminata, secondo i protocolli definiti e applicati a livello nazionale e regionale. «La malattia è estremamente contagiosa e con la sua propagazione si rischia di mettere in forte pericolo un settore che, invece, in questi anni ha avuto buoni risultati», ammonisce Francesco Degano, coordinatore dei tecnici del Consorzio unico delle Doc del Friuli Venezia Giulia.

La presenza della flavescenza dorata non è una novità in regione, ma finora a essere più esposta era stata la pianura pordenonese, caratterizzata da un metodo di cultura intensivo e dall’affiancamento sistematico di un vigneto all’altro. Come avviene peraltro nella realtà di Terranova, dove, evidentemente superato il 20% di piante sintomatiche, l’azienda proprietaria ha dovuto tagliare tutta la parte verde per fermare la diffusione del fitoplasma, come previsto dal decreto del direttore del Servizio fitosanitario di Ersa all’inizio di giugno. La continuità tra le coltivazioni, infatti, innesca una spirale di contagio di pianta in pianta, con conseguenze molto più pesanti rispetto a quelle che potrebbero presentarsi in altre zone, dove i vigneti sono maggiormente isolati. «La situazione va tenuta sotto controllo in questo caso anche perché il vigneto si trova non distante da Fossalon – prosegue Degano –, dove è presente un’importante attività vivaistica, di produzione di barbatelle». La flavescenza dorata è «una malattia di territorio e di vigna: se si è diffusa in modo così importante è perché, con tutta probabilità, non si è stati abbastanza veloci a togliere le viti infette», come aggiunge il coordinatore regionale dei tecnici di UniDoc Fvg, che invita alla prudenza sul fronte dell’impianto di barbatelle. «Anche se non è obbligatorio procedere prima all’espianto del vigneto, che pure andrà fatto – spiega ancora –. Un’operazione più complessa rispetto a quella del taglio del capo a frutto con cui si elimina l’inoculo e si blocca l’infezione». Fino a qualche anno fa in pratica assente nell’Isontino, nel Collio e nel Carso Triestino, a differenza appunto che nel Pordenonese, dove si è affacciata nel 1996.

«Il primo che deve effettuare un controllo è quindi il produttore», sottolinea Degano, che con i Consorzi Doc ed Ersa ha organizzato, anche all’inizio dell’estate, incontri collettivi di informazione-formazione con le aziende sulla flavescenza dorata. «Poi effettuiamo gli incontri azienda per azienda, con il giro in campagna assieme al produttore», aggiunge Degano. L’attività è finanziata dalla Regione, non a caso preoccupata dalla diffusione della malattia. L’impatto è d’altra parte potenzialmente disastroso, perché si parla di un settore che in Friuli Venezia Giulia è capace di garantire la produzione di più di un milione di ettolitri in un anno. Anche per il coordinatore dei tecnici di UniDoc, come per il presidente di Coldiretti Gorizia Martin Figelj, al di là della prevenzione vanno eliminati i vigneti abbandonati, soprattutto quelli di vite americana, che venivano impiantati per la produzione domestica di uva da tavola e sono più soggetti alla malattia. «I vigneti non sono abbandonati per dolo, ma li stiamo segnalando – conferma Degano –, perché possono essere potenziali focolai di infezione».

Riproduzione riservata © Il Piccolo