Trieste, seconda “chance” per salvare la Vitrani

TRIESTE Chi viaggia a bordo di un’Audi o di una Volkswagen o di una Bmw, oppure calza scarpe Hogan e Tod’s, oppure si accomoda su una poltrona Frau, si trova a contatto - in un certo senso - con i prodotti dell’imprenditore che si è candidato ad affittare la Vitrani, azienda muggesana dedita all’arredamento navale e civile, con un passato glorioso ma con un presente incerto.
Infatti Giancarlo Dani, cavaliere del lavoro 66enne, vicentino, è uno dei nomi che contano nel settore delle concerie, dove opera con due sedi produttive in Italia e con filiali commerciali dislocate negli Stati Uniti e in Cina. I suoi pellami riforniscono fabbriche di moda e di vetture. Dani dà lavoro a oltre 600 dipendenti e fattura circa 230 milioni, il 60% dei quali ricavati all’estero.
L’industriale veneto avrebbe già messo piede nel mondo degli yacht, dove conta di rafforzare e qualificare la presenza: per conseguire questo obiettivo, la griffe Vitrani potrebbe essergli d’aiuto. E lo ha spiegato “in diretta” ai lavoratori in occasione di un incontro organizzato una settimana fa, sabato 6 giugno, proprio nella sede della Vitrani.
Ma il tempo stringe per questa che è la seconda chance che, nel giro di un paio di mesi, è giunta in soccorso al pericolante equipaggio Vitrani. La prima è evaporata in aprile e non era un’opportunità da ridere: si era appalesata alle Noghere la Us Joiner, un gruppo statunitense con il quartier generale in Virginia. Ma poi i nordamericani ritirarono la proposta.
Adesso è la volta dell’offerta formulata da Dani, offerta che le sorelle Alessandra e Barbara Vitrani stanno pesando in questi giorni per una risposta definitiva. Ma sindacati e lavoratori cominciano a scalpitare. Anche perchè Dani parrebbe incline a non toccare la struttura occupazionale dello stabilimento, dove lavora una trentina di addetti. «Non nascondiamo una certa apprensione - è il segretario della Fillea Cgil Marino Romito a riassumere il sentiment dei dipendenti - sulle prospettive dell’azienda. Non vorremmo che sfumasse anche questa ultima opportunità. E avremmo piacere che la proprietà tenesse presente, nella trattativa in corso, anche delle esigenze di carattere occupazionale».
Il timore, insomma, è che si tiri troppo la corda. La Vitrani non naviga in acque tranquille: ad aprile aleggiava ancora il regime di “concordato in bianco”, che però non dura in eterno. Il buon nome della maison, a fronte di irrisolte difficoltà finanziarie legate a carenza di liquidità, potrebbe non essere sufficiente ad attrarre clientela. Si vocifera di un ordine promesso da Fincantieri. I lavoratori ci hanno messo faccia e soldi: nello scorso ottobre hanno prestato ai Vitrani 400 mila euro di Tfr. E adesso, insiste Romito, chiedono garanzie per il proseguimento dell’attività all’insegna di un imprenditore affidabile.
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