“Julio Velasco, una figura che ispira e spinge a perseguire il meglio di se stessi”
L’intervento del vicedirettore Nem con delega al Piccolo Fabrizio Brancoli nel corso della cerimonia di conferimento della laurea ad horonem a Velasco, dal titolo: “L’impatto umano nella metafora dello sport”

Anche per Il Piccolo e per il Gruppo editoriale Nem la giornata di oggi, con il conferimento della laurea ad honorem a Julio Velasco è stata particolarmente significativa: il nostro giornale ha avuto infatti una parte importante nell’ideazione dell’iniziativa e nell’avvio dell’iter per l’organizzazione dell’evento che l’Università di Trieste ha condotto e portato al traguardo.
In aula magna è intervenuto, assieme al direttore Luca Ubaldeschi, anche Fabrizio Brancoli, vicedirettore Nem con delega al quotidiano Il Piccolo e agli Eventi, con un intervento intitolato: “L’impatto umano nella metafora dello sport”. Ecco il testo integrale:
“Esiste in Italia uno stigma insopportabile nei confronti del contesto sportivo: lo sport esalta e fa sognare ma resta marginalizzato nel suo peso culturale e intellettuale, distanziato - da non si sa quale arbitro e da non si sa quale arbitrio - rispetto al mondo del sapere, alla sua austerità scientifica e al suo rigore. Lo sport è esaltato dal pubblico, apprezzato come spettacolo, ma relegato nella periferia della cultura alta.
Su questa altura che guarda il mare, in questa Aula Magna che onora ed emoziona chi ne varca gli accessi, l’Università di Trieste oggi lancia un messaggio controvento. Un messaggio di enorme autorevolezza.
L’Università illumina il percorso di un uomo che con lo sport costruisce infrastrutture culturali, collega mondi, competenze, esperienze, storie, geografie, sensibilità. Il suo spartito ospita note ampie, che transitano dalla strategia sportiva peculiare alla gestione del respiro collettivo di un gruppo; dal perseguimento tattico di un risultato al miglioramento psicologico di una persona. Julio Velasco esplora le reazioni umane che regolano una squadra. La squadra - così come l’individuo e la sua solitudine, per altri versi - è una metafora potente che lo sport offre all’interpretazione della vita. Un sofisticato, precario e avventuroso dispositivo di interazione che deve costruire un risultato agonistico ma che può anche raggiungere l’obiettivo diverso di una maturazione complessiva, valoriale, etica e morale.
Per noi del Piccolo, un giornale nato nel 1881 e abituato a parlare a una comunità identitaria e al tempo stesso al mondo, è un onore prendere parte a questo momento, oltre che raccontarlo, come sempre, da cronisti.
Pur avendo vinto tantissimo, Julio Velasco non è un “albo d’oro” vivente. È molto di più: è una figura che ispira. Questa capacità di superare i suoi stessi risultati e la sua assoluta competenza tecnica, è probabilmente la forza più grande che esprime. Oggi è ascoltato, studiato, citato non solo da allenatori e sportivi, ma da manager, formatori, docenti, educatori. Continua ad allenare e a vincere ma è anche una bussola morale. Indica direzioni, suggerisce significati, apre visioni.
Guidando squadre, Velasco ha collezionato trofei, titoli, medaglie. Ha vinto. Ha vinto tanto. Ma non è questo il punto. Il suo vero successo è la trasversalità del messaggio: qualcosa che parla anche a chi non ha mai messo piede in un’arena dello sport. Un messaggio che insegna a cercare dentro ciò che si imputa fuori. A trovare soluzioni, e non alibi. Un metodo che diventa uno stile. Qualcosa che non si misura con le statistiche.
Argentino radicato, latino per emozione, multiculturale per vocazione, italiano per convinzione. Arriva in Italia negli anni Ottanta. In punta di piedi e con il talento dello studioso. Nel 1989 diventa CT della Nazionale maschile. Da lì, l’Italia della pallavolo non è stata più una promessa: è stata un fatto, eloquente. Due Mondiali. Tre Europei. Un argento olimpico. Cinque World League. Una leggenda sportiva.
In un tempo in cui lo sport sembra solo fisico, lui ne fa una disciplina mentale. E non si limita a constatarlo. Ci lavora.
Velasco educa. Alla tecnica, certo. Ma anche alla libertà interiore. Alla disciplina. Alla consapevolezza.
Nel 2023 torna alla guida della Nazionale, quella femminile. Nel 2024, il trionfo: oro alle Olimpiadi di Parigi con una sequenza memorabile di prestazioni.
Dove eravate quel giorno? Io ero a Sistiana, davanti al mare, e si è compiuta la solita magia dello sport, che sa creare un’appartenenza anche in chi si limita a guardarlo. Ti fa sentire in campo, lo sport; ti fa giocare la partita nonostante tu ne sia oggettivamente estraneo. Le immagini scorrevano sul mio smartphone ma c’era un segnale scarso, interrotto, sofferto. E ho pensato alla comunicazione, a quanto sia importante un flusso corretto di informazioni, di concetti comprensibili.
Di nuovo, il punto non è solo nel risultato, ma nel metodo. Velasco assume la responsabilità di una squadra parcellizzata nelle sue istanze individuali e nei grandi talenti non sufficientemente integrati. La compatta e la fa maturare.
Ascolta. Parla. Guida. Innalza.
E oggi, mentre le sue parole riecheggiano nei corsi aziendali, nei seminari universitari, nei percorsi educativi, ci possiamo permettere uno scarto concettuale. Possiamo pensare che la pallavolo sia servita ad altro; questi indici di priorità, questi metodi di profondità, possono appartenere anche a mondi lontani. Investigare il coraggio, la fatica, la dignità, la responsabilità. Innescare nei cuori la possibilità di reagire. Perseguire il meglio di se stessi. Questa è la traiettoria indicata. Julio Velasco è un Maestro”.
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