A Trieste su il sipario scienza e scienziati occupano la ribalta

Venerdì la presentazione del volume che raccoglie i testi drammaturgici dello scrittore Giuseppe O. Longo
Non da oggi scienza e teatro vanno a braccetto, ma almeno da un paio d’anni a questa parte Trieste sta diventando il centro dove forse più che altrove l’espressione teatrale pesca a piene mani del mondo della scienza. Un trend in crescita, e non solo sulla spinta di Esof 2020: Trieste capitale della scienza è solo l’orizzonte verso il quale muove un’urgenza narrativa che trova nella speculazione scientifica e nella sua storia ottimo materiale di rappresentazione. «Il binomio Teatro-Scienza, per quanto appaia di recente affermazione, è tuttavia antico quanto l’arte teatrale. Se, infatti, il brechtiano
Vita di Galileo
costituisce (...) uno degli esempi più illuminanti, risalendo verso le epoche più remote, incontriamo innumerevoli testi che, in modo più o meno esplicito, hanno affrontato tematiche legate alla scienza», dal Prometeo di Eschilo al Candelaio di Giordano Bruno. Parole di Paolo Quazzolo, che firma un saggio in appendice al libro
“La scienza va a teatro”
di
Giuseppe O. Longo
(Eut, pagg. 426, Euro 16,00)
, volume a cura di Walter Chiereghin che raccoglie l’opera omnia drammaturgica dello scienziato-scrittore forlivese (ma triestino d’azione). Il libro sarà presentato venerdì, alle 18, alla Libreria Minerva di via San Nicolò 20 a Trieste, da Walter Chiereghin con Fulvio Senardi, letture di Ariella Reggio e Giovanni Boni. Il volume contiene i lavori teatrali di Longo, da “Lucrezio ovvero Ragione e Follia” a “Farm Hall 45” fino al “Crepuscolo dei simbionti”, andato a leggio lo scorso anno per la Settimana del cervello con Giovanni Boni, Elke Burul e lo stesso Longo.


Contrariamente a quanto afferma Chiereghin nell’introduzione, Giuseppe O. Longo non è «un uomo di scienza prestato al teatro e alle lettere», ma uno scrittore a tutto tondo, un “neoumanista” che miscela saperi diversi. Semmai la sua prolifica vena drammaturgica, come sottolinea ancora Chiereghin, sembra tesa, più che nelle opere di narrativa, a intrecciare «da una parte il pensiero razionale proprio della sua formazione universitaria e della sua attività scientifica, e dall’altra la dimensione emotiva e sensibile dell’umano». Del resto, precisa Longo in un’intervista in appendice al volume, «non credo che il teatro sia un mezzo adatto a trasmettere la scienza, credo invece che esso possa e debba concentrarsi sugli scienziati, sulle loro vicende, sull’entusiasmo della scoperta, sulle delusioni e sulle speranze».


Ed è su questa linea che si muove la recente e crescente produzione teatrale triestina ispirata alla scienza. «Nella Trieste città della scienza e designata quale Capitale europea della scienza 2020 il Teatro - agorà che del tessuto sociale e culturale cui fa riferimento deve esprimere realtà e utopia - deve lasciarsi ispirare da una così significativa dimensione e darle voce». È lo strillo che annuncia la rappresentazione al Rossetti, dal 10 al 12 aprile, dello spettacolo “1927 - Monologo quantistico” della scienziata e attrice Gabriella Greison, diretta da Emilio Russo. La piéce mira a bissare il successo dell’anno scorso de “La domanda della regina”, commissionata dallo Stabile al drammaturgo Giuseppe Manfridi e al fisico Guido Chiarotti. Il quale Chiarotti è scienziato per nulla digiuno di arte teatrale, visto che con la sua editrice “Scienza Express” ha creato la collana “Formula sipario-Teatro e scienza”, pubblicando testi contemporanei come “Farmageddon” di Patrizia Pasqui o “Certi sogni possono appartenere a tutti - Monologhi di teatro scientifico” di Fabio Cocifoglia.


Anche il Teatro Stabile La Contrada scommette sulla scienza dopo aver ripreso l’anno scorso, prima al Teatro dei Fabbri e poi in trasferta, “Il fuoco del radio. Dialoghi con Marie Curie”, di Luisa Crismani e Simona Cerrato, con Ariella Reggio, Marzia Postogna, Francesco Godina ed Elke Burul, per la regia di quest’ultima. E tutto ciò senza contare le stesse istituzioni scientifiche, come il Sissa Summer Festival, che ha battezzato i “Topi da laboratorio”, show ideato e prodotto dal Teatro Miela, o ancora le conferenze-spettacolo dedicate alla scienza in spazi alternativi come l’Hangar Teatri.


Insomma scienza e teatro sempre più legati, specie a Trieste. «È come se a Trieste scorressero due vite, quella dei cittadini comuni e quella della comunità scientifica, perciò perché non provare a fare da ponte tra queste due realtà?», si chiede Diana Höbel, autrice e interprete di spettacoli come “8558 Hack”, ispirato alla celebre astrofisica (in cartellone questo venerdì ai Fabbri con Francesco Godina in una produzione della Contrada) e di “Paolo Budinich e i paradossi dell'avventura”, sul fondatore dell'Ictp. «Il teatro deve parlare dell'umano, e sappiamo quanto la scienza in tutte le declinazioni influisca sulle nostre vite», conclude Höbel. Anche un’attrice acclamata come Sara Alzetta attinge alla scienza, portando su vari palcoscenici monologhi ispirati a personaggi come Rita Levi Montalcini o reading di autori quali Borges, Calvino, Philip Dick: «La scienza - dice Alzetta - procede per continue verifiche, non esiste “verità” per la scienza, bensì “metodo”: mettere via via alla prova le conquiste del sapere. E questa è migliore la lezione che può venirci dal metodo scientifico: dotarci di una coscienza critica per destreggiarsi nella complessità del reale».


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