Addio Callisto Cosulich settant’anni nel cinema al servizio del pubblico

È morto ieri a Roma Callisto Cosulich, decano dei critici cinematografici italiani. Era nato a Trieste il 7 luglio 1922, tra esattamente un mese avrebbe compiuto 93 anni. Cosulich era da giorni ricoverato in ospedale per un peggioramento delle sue delicate condizioni di salute. I funerali si svolgeranno domani, alle 12, nella Chiesa degli Artisti in piazza del Popolo a Roma.
di ELISA GRANDO
«Al pubblico, di regola, non si dovrebbe mai tacere nulla», scriveva Callisto Cosulich in un articolo del 1960. Era questa la sua filosofia, e uno dei motivi per il quale ci mancherà così tanto: Cosulich ha scritto di cinema per quasi 70 anni consecutivi, su "Il Piccolo", "Paese Sera", "Avvenimenti" e in un'infinità di saggi e volumi, per dialogare costantemente col lettore, col pubblico, per condividere le sue passioni o il suo disappunto verso i film, insomma, per fare della critica cinematografica un momento di confronto, non una pratica privata da intellettuali. Fino alla fine, con instancabile passione: il suo ultimo articolo su "Il Piccolo" è del 24 febbraio scorso, e commenta il Premio Oscar a "Birdman" con il consueto stile ironico, pungente e informato di un critico che ha fatto davvero la storia del cinema.
Quella di Callisto Cosulich è stata una vita per molti versi avventurosa. Nasce a Trieste il 7 luglio 1922 dalla grande famiglia lussignana di armatori, e rimane presto orfano: suo padre Oscar Cosulich muore nel 1926, quando lui ha solo 4 anni, la madre Maria Nicolich appena 9 anni dopo. Il piccolo Callisto trascorre l'infanzia a Palazzo Parisi, poi nella casa madre dei Cosulich in Gretta, infine dai Nicolich in via Ginnastica. Ma, curiosamente, quando scoppia la guerra nel 1939 è in vacanza in Germania, a Duisburg: nel giugno del 1940 prende la maturità al liceo classico Dante di Trieste e, per questo, amerà sempre ricordare di aver "visto scoppiare la guerra due volte".
Nel 1942 Cosulich si iscrive a un corso per ufficiale di complemento a Livorno. Per capire come la sua passione per il cinema s'intrecci indelebilmente con la storia, basti ricordare che il suo debutto da operatore culturale avviene proprio mentre è imbarcato come militare: con la qualifica di "movie officer", Cosulich ha accesso anche ai film americani "proibiti" agli spettatori in borghese, e proprio la notte dell'8 settembre 1943 proietta per i soldati sulla nave "L'eterna illusione" di Frank Capra. Dal 1948 al 1953, tornato nella sua città, scrive sul "Giornale di Trieste" e compie il primo passo decisivo per la sua carriera nella settima arte: insieme a Tullio Kezich fonda la Sezione Cinema del Circolo della Cultura e delle Arti e anima il Circolo della Cultura e delle Arti sezione Spettacolo. Nel 1950 si trasferisce a Roma, dove vive con Gillo Pontecorvo e Franco Giraldi finché incontra l'amore della vita, Lucia Rissone, che sposa nel 1955: il loro è un legame incrollabile, che dura fino alla fine, e dal quale nascono i figli Oscar, critico cinematografico de "Il mattino" e Sergio.
Dagli anni '50, l'attività critica di Callisto Cosulich è intensissima e continua: prima sulla rivista "Italia domani", poi prendendo il posto di Vasco Pratolini sul settimanale "ABC" famoso per le sue battaglie di costume, dal 1973 come critico in carica a "Paese Sera", poi su "Avvenimenti" e dal 1989 a oggi anche su "Il Piccolo". Cosulich però non si limita a scrivere ma diventa uno dei più importanti animatori attivi di circoli del cinema, fonda con Enrico Rossetti il primo cinema d'essai italiano, il Quirinetta di Roma, è consulente dei festival di Berlino e Venezia, è Segretario generale della Federazione italiana Circoli del Cinema-FICC, scrive diverse sceneggiature, come quelle di "Terrore nello spazio" di Mario Bava e del film per la televisione "L'isola" di Pino Passalacqua, tratto da un romanzo breve da Giani Stuparich.
Il suo è un amore onnivoro e sterminato per il cinema, spesso quello più nascosto, fuori dalle logiche commerciali, o proveniente da cinematografie di confine. Lo si capisce scorrendo i suoi dichiarati "titoli cult": "L'intera trilogia che Mark Donskoj ha dedicato al trittico autobiografico di Gor'kij ("L'infanzia di Gorki", "Tra la gente", "Le mie università", la seconda puntata vista solo a Trieste), "Viaggio senza fine" di John Ford, "Unter den Brücken" di Helmut Kaütner, "Totò e i re di Roma", tratto da due novelle di Cechov e "I cannibali" di Manoel De Oliveira". Fin da giovanissimo, Cosulich collabora con le maggiori riviste di settore come "Cinema", "Cinema Nuovo", "Filmcritica", "Bianco e nero", "Cinemasessanta". Al grande pubblico, però, è noto soprattutto per aver curato per la Rai, negli anni '70, celeberrimi cicli monografici sul cinema, spiegato in prima serata col suo consueto talento nell'unire semplicità e acume, in particolare sul cinema giapponese, sulla New Hollywood, Billy Wilder, Ozu Yasujiro, Josef von Sternberg.
Cosulich apparteneva a una generazione di critici che alla storia del cinema ha partecipato in prima persona non solo come cronista o spettatore, ma stringendo relazioni umane che hanno talvolta deviato il corso stesso della settima arte, come l'amicizia con Roberto Rossellini, che il critico citava fra i suoi maestri, o con Carlo Lizzani. Come loro, anche lui ha messo più volte la penna in questioni politiche, ma mantenendo un suo invalicabile spazio di libertà: è stato sempre considerato un critico "di sinistra" pur non avendo mai preso alcuna tessera. «Non sono mai stato tesserato a un partito, perché volevo mantenere e poter esprimere la mia libertà di giudizio», amava ricordare. «Anche quando scrivevo per "Paese Sera", che era un quotidiano legato al Pci, questa libertà è stata rispettata, perfino se parlavo male di un film sovietico».
Il suo approccio ha fatto scuola perché, in anni in cui la critica cinematografica difficilmente si affrancava da "querelle" puramente politiche o formali, Cosulich fu tra i primi a guardare al film anche in relazione al suo contesto, come la componente socio-culturale del pubblico, l'intervento della censura, le strategie dei produttori, la posizione degli esercenti. Con l'umiltà che solo i grandi hanno, quella di sapersi ricredere: «Di errori ne ho fatti, eccome!», diceva sorridendo. «Recensioni che, rilette a distanza di tempo, cestinerei senza esitazione, come quelle di "Barry Lindon" e di "Il cacciatore"». Tutte le altre, vien voglia di rileggerle. Perché Cosulich ci lascia tante cose: la sua straordinaria vivacità intellettuale, la voglia costante di "stare sulla notizia" e un mai esausto "spirito di servizio" nei confronti del pubblico che lo consegna per sempre alla storia del cinema.
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