Al Guggenheim tra i gioielli della collezione Schulhof c’è il “Paese giallo” di Afro
il percorso
Amare Venezia è facile, amarla tanto da farne la propria dimora, il luogo in cui costruire il “capolavoro” di una vita, la propria sfida per il futuro dell’arte, è impresa davvero straordinaria. È quanto è riuscita a fare la mecenate e miliardaria americana Peggy Guggenheim, che del capoluogo lagunare fece non solo la sua casa, ma il luogo di elezione per la sua eccezionale collezione “aperta” d’arte contemporanea. A 40 anni dalla morte di quella che ormai viene definita l’ultima dogaressa e a 70 anni da quando acquistò Palazzo Venier dei Leoni, la splendida dimora “non finita” sul Canal Grande dove raccolse i suoi tesori d’arte, la Peggy Guggeneheim Collection di Venezia ha lanciato per il 2019 un fitto programma di mostre e attività dal titolo “Continuità della visione” proprio per ricordare la celebre filantropa, la sua passione inesauribile per la modernità e il suo legame profondo con Venezia. «Credo che Peggy – racconta la nipote Karole Vail, ora direttrice della Fondazione veneziana - sia venuta in questa città la prima volta da piccola e poi è da giovane sposa. Quando ero ragazzina nella sua casa-museo sul Canal Grande cenavamo tra i cubisti, ma per noi era una cosa normale. La nonna non era particolarmente affettuosa, spesso era malinconica, un po’ distante, ma aveva slanci di generosità improvvisa verso noi nipoti. Non le piaceva invecchiare, né apprezzava i cambiamenti troppo commerciali che ormai il mondo dell’arte stava subendo».
Ad aprire le celebrazioni la mostra “Dal gesto alla forma. Arte europea e americana del dopoguerra nella Collezione Schulhof” a cura di Gražina Subelytė e Karole P.B. Vail, che, fino al 18 marzo, offre la possibilità di ammirare la collezione appartenuta ad Hannelore e Rudolph Schulhof e da loro donata alla Fondazione Solomon R.Guggenheim e dal 2012 conservata a Venezia. 80 opere, con artisti del calibro di Burri, Santomaso, Fontana, Capogrossi, Afro, Kooning, Rothko, Twombly, Tobey, Tàpies, Chillida e Andy Warhol.
Una straordinaria raccolta collezionata nel corso di mezzo secolo dai due coniugi con sensibilità visionaria e totale affinità di gusti. Gli Schulhof, entrambi ebrei, lei tedesca e lui ceco, si conobbero e si sposarono allo scoppiare della guerra e fortunosamente riuscirono a scappare negli Stati Uniti dove fecero fortuna come editori di cartoline d’autore. Per tutta la vita li unì una grande passione per l’arte e la loro collezione si sviluppò dall’Informale e dall’Espressionismo astratto fino al Minimalismo e alle tendenze concettuali. Saranno tra i primi a promuovere l’arte europea del dopoguerra negli Stati Uniti. Nella loro collezione entreranno solo opere di artisti viventi per le quali provavano una forte adesione personale.
Gli Schulhof incontreranno Peggy a Venezia nella sua casa-museo. Ne nascerà una lunga amicizia. Come Peggy, la coppia entrerà quasi sempre in stretto contatto con gli artisti collezionati, come nel caso di Afro, il pittore udinese da cui nel 1957 acquistarono la loro prima opera astratta “Paese giallo”, la cui radiosità rievocava lo splendore di Venezia, dove Afro aveva studiato e insegnato e dove lo avevano incontrato nel ’56 alla Biennale.
«Afro adorava i miei genitori, voleva loro davvero molto bene. Si trattava di un rapporto personale privilegiato», racconta la figlia Wendy. Anche Hannelore in un’intervista rilasciata nel 2011, un anno prima di morire, parlando del primo incontro con Afro dirà: «Era rimasto vedovo e aveva un gran desiderio di stringere relazioni. In lui trovammo un vero amico». Gli Schulhof acquisteranno non solo i suoi dipinti e disegni, ma anche alcuni gioielli realizzati dall’artista, in particolare una spilla e degli orecchini, di cui Hannelore diceva: «Sembrano delle piccole creature. Li indosso ogni giorno!». Nel 1981, a cinque anni dalla morte di Afro, la signora Schulhof viene a sapere delle mostre a lui dedicate che stavano per aprire in Europa, così e scrive a Mario Graziani dell’Archivio Afro di Roma: «Siamo felici di sentire che Afro finalmente riceve il riconoscimento che avrebbe dovuto avere anni fa». Graziani allora le chiede aiuto nel promuovere l’opera di Afro negli Stati Uniti. —
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