Alessio Figalli: «Con la matematica impariamo a pensare in modo libero senza preconcetti»

Il giovane studioso che sarà ospite di Esof a Trieste è il secondo italiano ad essere insignito della medaglia Fields  
Ordentlicher Professor am Departement Mathematik
Ordentlicher Professor am Departement Mathematik

l’intervista



È il secondo italiano di sempre ad essersi aggiudicato la medaglia Fields, una sorta di Nobel della matematica istituito nel 1936 e che viene assegnato ogni quattro anni a due, tre o quattro matematici d’età inferiore ai 40 anni. D’altra parte Alessio Figalli, che sarà tra i protagonisti più illustri di Esof2020, fin da subito ha bruciato le tappe: laurea triennale alla Normale in due anni, specialistica, dottorato di ricerca in un solo anno, con il secondo semestre di perfezionamento all’École Normale Supérieure di Lione, e cattedra come ordinario a 27 anni, nel 2011, a Austin, Texas.

Dal 2016 Figalli è docente al Politecnico di Zurigo e nel 2018 ha ricevuto la medaglia Fields “per i suoi contributi al trasporto ottimale, alla teoria delle equazioni alle derivate parziali e alla probabilità”. Parteciperà a Esof2020 con una lezione, in programma il 6 settembre alle 10.15, in videoconferenza al centro congressi di Porto Vecchio proprio sul trasporto ottimale e sui suoi ambiti d’applicazione, che spaziano dalla meteorologia al machine learning.

La sua è la seconda medaglia Fields italiana di sempre. Coma sta la matematica in Italia?

«La matematica italiana ha una tradizione importante e di lunga data, ma nel tempo purtroppo non siamo riusciti a ottenere a livello internazionale i riconoscimenti che la nostra scuola avrebbe meritato. Nel caso della medaglia Fields, assegnata a matematici d’età inferiore a 40 anni, pesa molto anche il fattore tempo: è necessario formare rapidamente matematici d’alto livello e il sistema scolastico italiano, che prevede un lungo percorso formativo, ne esce penalizzato. Ma conto che la mia medaglia sia un segnale positivo per molti giovani: mi sono formato in Italia, anche se le esperienze internazionali sono state fondamentali per ricevere i giusti stimoli scientifici».

Pensa che la visibilità che la matematica teorica ha in Italia sia diversa rispetto a quella di altre discipline, come la fisica teorica e la biologia?

«Sicuramente la matematica teorica non gode di grande visibilità: una carenza informativa che fortunatamente oggi è parzialmente colmata dal web. C’è ancora l’idea, profondamente sbagliata, che la matematica astratta non serva. In realtà matematica pura e applicata sono due lati della stessa medaglia, interdipendenti nel loro sviluppo. La matematica applicata offre gli spunti per porsi delle domande, la matematica pura, grazie a strumenti creati a volte anche lasciando correre la fantasia, porta ai risultati. La tecnologia che utilizziamo quotidianamente non esisterebbe senza la matematica: di questo in Italia non c’è abbastanza consapevolezza».

Ha vinto la Fields sul trasporto ottimo e ne discuterà anche a Esof2020. Chi le ha presentato questo problema e quando ha iniziato a lavorarci?

«A presentarmelo per la prima volta è stato Nicola Gigli, che oggi insegna matematica alla Sissa. Ero uno studente alla Normale e lui un dottorando: uscendo dalla sala mensa iniziammo a chiacchierare e gli chiesi di cosa si occupasse. “Di un problema bellissimo – mi disse mentre fumava una sigaretta –: il trasporto ottimale”. Mi fece vedere delle note e ne rimasi affascinato. Quindi a Lione, nel 2005, iniziai a concentrare i miei studi su questo problema».

Di cosa si tratta?

«All’inizio era un problema meramente economico: ci si chiedeva come trasportare nel modo più efficiente possibile degli oggetti da un luogo all’altro. Ma poi ha avuto sviluppi in moltissimi ambiti, dall’urbanistica allo studio del moto delle nuvole, dall’intelligenza artificiale al machine learning, in cui si usa per il processo d’ottimizzazione, ad esempio per aiutare il computer a riconoscere sempre più efficacemente le immagini, che si tratti di numeri o di radiografie. Il potere d’astrazione della matematica è qualcosa di straordinario, perché non pensando più a oggetti fisici consente di eliminare determinati preconcetti e di scoprire connessioni inedite».

Qual è, oltre alla conoscenza con Gigli, il suo rapporto con il sistema di ricerca scientifica triestino?

«Trieste è un posto speciale, una città di medie dimensioni in cui si concentra un numero importante di enti di formazione, scientifici e di ricerca. Conosco molti docenti della Sissa, che ho visitato più volte, e con i suoi studenti ci incontravamo alle conferenze già quindici anni fa. Lo stesso vale per l’Ictp, dove sono coinvolto in vari comitati interni e ho partecipato a scuole ed eventi. Credo che in città di piccole e medie dimensioni come Trieste, Pisa, Pavia, L’Aquila, per citarne alcune, sia più facile creare un senso di comunità, elemento estremamente importante per favorire la fecondità della scienza».

Lei vive e lavora all’estero. Tornerebbe in Italia se potesse?

«L’Italia in questi anni ha lavorato per far rientrare cervelli dall’estero, ne conosco molti che hanno colto la palla al balzo. Ma permane il problema della mancanza di continuità: non ci sono regole chiare e a lungo termine e ciò scoraggia le persone in gamba che vogliono rientrare. Non è possibile che ogni governo crei nuove regole. Scuola, università e ricerca dovrebbero essere super partes e amministrate secondo linee guida pluriennali. Bisogna pensare a lungo termine se si vogliono ottenere risultati importanti in questi ambiti». —

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