Alida Valli, la baronessa di Pola che diventò la fidanzata d’Italia

Dieci anni fa moriva la bellissima attrice, cui la Cineteca nazionale di Roma da domani dedica una retrospettiva, con i capolavori di Visconti, Antonioni, Pasolini, Bertolucci
Di Paolo Lughi

Bella. Bellissima. Ma chiusa, triste, solitaria. E calunniata, fatta passare per l’amante di tutti gli uomini di casa Mussolini. E sfortunata, con una serie di amori finiti male alle spalle. Ma Alida Valli, la grande attrice nata a Pola nel maggio ’21 e scomparsa 85enne il 22 aprile 2006, vede intatto ancora oggi il suo mito di “fidanzata degli italiani”, come era chiamata negli anni ’30, e di presenza fra le più importanti e longeve nella storia del cinema italiano e non solo.

A lei infatti, la diva più affascinante dei “telefoni bianchi”, a dieci anni dalla morte la Cineteca Nazionale di Roma dedica un omaggio (da domani) con la proiezione di alcuni capolavori diretti da Visconti, Antonioni, Pasolini, Bertolucci. Una retrospettiva parziale ovviamente, perché la baronessina Alida Maria Laura Altenburger (questo il suo vero nome), figlia di una pianista istriana e di un nobile trentino professore di filosofia, girò circa 140 film anche con Pontecorvo e Zurlini, coi francesi Chabrol e Vadim, ma pure con Alfred Hitchcock (“Il caso Paradine”) e Carol Reed (“Il terzo uomo”), quand’era la “star dei due mondi” messa sotto contratto nel ’49 dal potente David O’Selznick.

Proprio sulle riprese de “Il terzo uomo” e sul suo “amour fou” per il regista inglese Carol Reed, l’anno scorso sono emerse le sue confessioni in un diario privato che hanno fatto scalpore. All’epoca, sul set del film a Vienna, Alida era sposata col jazzista triestino Oscar De Mejo (da cui ebbe i figli Carlo e Larry), ma lei scriveva con trepidazione adolescenziale: «Carol telefona: Allida? Verrà: sono troppo felice. Lo adoro!». Anche nella vicenda del “Terzo uomo” lei è divisa fra due figure, la star Orson Welles e Joseph Cotten. Nel finale, considerato uno dei più belli della storia del cinema, la Valli è protagonista di un’infinita e struggente camminata lungo un viale, in campo lungo frontale: sembra fuggire dal ricordo del “criminale” Welles, ma a sorpresa oltrepassa anche l’amico innamorato Joseph Cotten senza degnarlo nemmeno di uno sguardo. Alla fine delle riprese, Alida scriverà che con Reed era tutto finito, e dirà addio anche a De Mejo. Sono tanti 140 film? Del resto l’enigmatica Valli aveva iniziato precocissima, fuggendo a 16 anni da Pola dopo aver venduto i gioielli della cresima, e con 75 lire in tasca raggiunge Roma. La iscrivono d’ufficio al Centro sperimentale, perché bastano la sua aristocratica e sfolgorante bellezza, e gli sconfinati occhi verde-azzurri velati di malinconia. Prende lo pseudonimo a caso dall’elenco del telefono (Valli) e Mario Camerini le affida subito una particina nel “Cappello a tre punte” (’35) fra Eduardo, Peppino De Filippo e Tina Pica. Poi, nel ’42 in “Stasera niente di nuovo” Alida cantava “Ma l’amore no”, ma l’Italia già da qualche anno si era perdutamente innamorata di lei. Come in un romanzo di Liala, Alida era già una diva, perché aveva girato film famosi come “Mille lire al mese” (’39) al fianco di De Sica. A meno di vent’anni è famosa e ammirata, la prima attrice italiana ad avere un contratto esclusivo di cinque anni.

La vita sembra sorriderle, trova anche il grande amore, un pilota della Regia Aeronautica, ma la guerra glielo porta via nei cieli di Tobruk. Forse è questa tragedia che l’aiuta a trovare il tono giusto per interpretare “Piccolo mondo antico” (’41) di Soldati. È il trionfo, e appena finita la guerra le si aprono le porte di Hollywood. Ma Alida è irrequieta, l’America non le piace e pur di tornare a casa rompe il contratto e paga un’esorbitante penale. La sua carriera sembra in declino quando Visconti ha un’intuizione geniale e le regala il suo ruolo forse più bello, quello della contessa Serpieri in “Senso” (’54): una figura tormentata, altera, fragile, indimenticabile, che sembra davvero il suo ritratto.

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