Andreose: «Divertente lavorare con Eco»

MILANO. Non è solo il grande scrittore e uomo di cultura quello che viene ricordato dalla storico curatore editoriale, Mario Andreose, veneziano, una delle figure di riferimento dell’editoria italiana. Ma soprattutto l'amico, l'uomo Umberto Eco, quello «che era molto legato a Milano, dove andava in giro con i nipotini a fargli vedere i Navigli o la chiesa di San Bernardino». In quella che era la sua città di adozione, dove si era trasferito da Torino.
Uno tra i primi programmisti Rai a vincere un concorso, Eco «era presidente dei bibliofili milanesi, amava frequentare le biblioteche e la domenica passeggiava tra i mercatini artigiani di piazza Cordusio». Ma era nella sua casa di vacanze, nelle Marche, a Monte Cerignone, che si dilettava nella sua altra passione, il flauto dolce. «In compagnia, era un intrattenitore nato - ricorda Andreose - sin dal liceo organizzava spettacoli nel teatrino della scuola, aveva un grande senso dell' ironia e dell'autoironia».
Andreose ed Eco avevano iniziato a lavorare insieme alla Bompiani negli anni '80: lui aveva già pubblicato “Il nome della rosa”, «e di lì in poi - ricorda - si è sviluppato un rapporto molto intenso. Anche nel tempo libero si lavorava sempre in una atmosfera gioviale e allegra volta al divertimento nel senso più nobile del termine».
«Non posso che essere grato ancora una volta a Umberto per aver lavorato assieme sino all'ultimo, a parte solo gli ultimi due o tre giorni, quando c'è stato il declino veloce della malattia» racconta ancora Andreose.
Dell'attenzione di Eco per il proprio lavoro, Andreose aveva anche scritto in un pezzo poi raccolto nel volume “Uomini e libri”, che inziia dichiarando: «Tra tutte le ragioni che possono aver spinto l'autore de “Il nome della rosa” a licenziarne trenta anni dopo un'edizione “riveduta e corretta”, credo non debbano escludersi gli intensi rapporti da sempre intrattenuti con i suoi traduttori».
Parla così di un dialogo ininterrotto sino alla pubblicazione con ognuno di loro, con uno scambio tale di informazioni e riferimenti linguistici, storici e culturali che questi «hanno formato una comunità riunitasi anche in un convegno». E quindi sottolinea come per Eco questo scambio sia stato «una concreta verifica ante litteram della sua teoria della “traduzione come negoziazione”».
Elisabetta Sgarbi ha voluto ricordare che Eco, fino all'ultimo, si è preso cura del suo ultimo gioiello, La nave di Teseo, la nuova casa editrice che deve a lui il nome e alla quale ha affidato il suo ultimo libro, “Pape Satàn Aleppe”. «Era fiero di questa nuova impresa. Era il suo orgoglio, la cosa più importante di cui abbiamo parlato fino all'ultimo. È l'eredità che ci lascia da portare avanti».
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