Arango: «La mia vita è piena di bugie che diventano libri»

di Giovanna Pastega
«La verità è raramente pura, e mai semplice» diceva Oscar Wilde. Sarà per questo che al giorno d'oggi un bugiardo più che raccontare menzogne sembra offrire versioni "impure" per non dire "creative" della verità. Si potrebbe sintetizzare quest'ottica orwelliana in una frase "La verità ed altre bugie", titolo azzeccatissimo del romanzo d'esordio dello sceneggiatore tedesco Sascha Arango pubblicato da Marsilio.
A metà tra il thriller e la commedia noir "Wahrheit und andere Lügen" offre, con una prosa serrata e dal sapore psicanalitico, il ritratto del perfetto bugiardo che sa sempre come rendere "impura" la verità per farla diventare una perfetta bugia.
«I bugiardi tra di noi sapranno che ogni menzogna deve contenere un pizzico di verità per essere credibile. Una spruzzata di verità spesso basta, ma deve esserci, come l'oliva nel Martini», dice il protagonista del romanzo, Henry Hayden, un quarantenne scrittore di bestseller di fama internazionale, la cui doppia vita (in realtà è la moglie a essere il vero autore dei suoi romanzi) genera un'intricata catena di menzogne nonché un avvincente triangolo letterario, amoroso e criminale.
Conteso dagli editori di tutto il mondo il romanzo, pubblicato il Italia da Marsilio, diventerà a breve anche il soggetto di un film hollywoodiano, e non a caso, visto che Sascha Arango è da molti anni tra i più noti sceneggiatori cinematografici in Germania, premiato più volte con il prestigioso Grimme-Preis.
In tour in queste settimane in tutto il mondo Arango sarà tra gli scrittori più attesi alla VIII edizione di Incroci di Civiltà, il Festival internazionale di letteratura promosso dall'Università Ca' Foscari di Venezia. Il suo incontro è previsto per giovedì.
Lo abbiamo intervistato in anteprima.
Il suo romanzo parla del complicato e ambiguo rapporto che c'è tra la verità e le bugie.
«Esattamente. Le bugie per essere credibili devono contenere un pizzico di verità, ma l'aspetto più interessante per me è che anche la verità per risultare credibile deve essere reinventata, e solo se accompagnata dalla menzogna viene realmente percepita come tale. Penso che in ognuno di noi ci sia un po' di Henry, la complicità tra verità e bugia ci riguarda tutti, verità e bugie si mescolano nella nostra vita quotidianamente. La maggior parte delle persone tende fondamentalmente alla verità, mente per lo più su questioni insignificanti. Altra cosa è invece se l'esistenza intera viene basata sulla menzogna, come nel caso di Henry. Quel sano equilibrio tra verità e bugie che è presente in tutti noi in Henry cambia radicalmente le proporzioni, lui vive interamente nella menzogna, quindi qualcosa non va».
Per il suo protagonista ha preso ispirazione da qualche personaggio realmente incontrato o è totalmente inventato?
«Passo gran parte della mia vita a inventare, è il mio mestiere, e io immagino continuamente cose, tanto che spesso mi chiedo se siano realmente accadute o se siano solo il frutto della mia fantasia. Bisogna però distinguere tra bugia e invenzione. Spesso inventiamo cose per poterle raccontare meglio, con maggiore precisione, per renderle più credibili. Questa capacità d'inventare è però un atto creativo, e la menzogna è in qualche modo l'ago della bilancia. Quando ero bambino mi piaceva inventare molte storie e capitava che mi punissero per avere raccontato una bugia, ma a me semplicemente piaceva immaginare. Una storia inventata non è una bugia. Perché la verità sia credibile bisogna un po' reinventarla. Il punto è che spesso facciamo passare per bugia una buona idea».
Il protagonista del suo romanzo reinventa continuamente la verità, ma la sorte tira i dadi per lui. Alla fine il vero protagonista è Henry Hayden o il caso?
«Buona domanda. Mi piace pensare che Henry sia l'antenna e il destino il fulmine. Henry ha sfidato il destino, e il destino ha risposto».
Pensa che la mescolanza tra verità e menzogne sia il male del nostro tempo, una sorta di "doublethink" alla Orwell?
«Non credo che oggi si menta più di una volta. Oggi tutto è notizia e noi sappiamo molto più di quanto si poteva sapere un tempo. Ma i metodi sono sempre gli stessi, e la menzogna è un mezzo sistematico della politica oggi come ieri. Anche Facebook, per esempio, è una piattaforma della menzogna: "guarda come sto bene", "guarda che belle cose ho fatto"... è tutto finto, è una riproduzione di sé falsata. Questo è un tema molto forte perché oggi siamo molto più consapevoli di come sia fittizio il mondo in cui viviamo».
Come definirebbe il suo romanzo: un thriller ironico o una commedia noir con risvolti gialli?
«Non ho mai pensato di voler scrivere un thriller, ma sicuramente non si tratta di una commedia. L'ironia nasce dal fatto che le cose sono raccontate così come sono. Se devo scegliere una definizione direi che si tratta di un romanzo di suspense psicologica».
Quanto ha portato del suo mestiere di sceneggiatore nel suo libro?
«Scrivere sceneggiature aiuta molto a capire la struttura formale del racconto, scrivere un romanzo è un po' come montare un film. La sceneggiatura aiuta a capire dove interrompere il flusso della narrazione e cambiare scena».
Lei è di madre tedesca e padre colombiano, queste due matrici culturali si intrecciano nella sua scrittura?
«Assolutamente. Le due matrici culturali hanno sempre avuto una grande influenza sul mio lavoro. Da mio padre ho ereditato il realismo magico, quella che mi piace chiamare narrazione equinoziale: in Colombia il giorno e la notte hanno sempre la stessa durata, realtà e finzione convivono in armonia, fantasia e realtà sono ugualmente importanti. Da mia madre ho imparato l'accuratezza prussiana, una sorta di correttivo: tutto quello che non quadra non può essere».
In molti Paesi dove è stato pubblicato il suo romanzo nella copertina campeggia una martora. In genere questo animale è simbolo di astuzia, agilità, intuito, scaltrezza. Che significato ha nella storia?
«Per me la martora impersona la coscienza di Henry. Si è insediata nella sua casa ed Henry la vuole distruggere».
C'è una morale nella sua storia?
«Credo che il lettore debba decidere da sé se vuole vedere nel romanzo una morale o meno. Io non giudico».
Il successo del suo libro d'esordio è stato travolgente, conteso da tutte le case editrici del mondo: ansia da prestazione o sta già lavorando ad un altro romanzo?
«Sto lavorando alla seconda parte di questa storia, la storia di Henry. Un po' a rilento, perché ormai i diritti del mio libro sono stati venduti in 30 Paesi e sto viaggiando molto. Questa settimana sono a Venezia, poi andrò in Francia, e tra poche settimane sarò in Australia, Tasmania, Giappone… Devo ritrovare la concentrazione, ma Henry tornerà».
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