Ascanio Celestini, doppia data Fosse Ardeatine e barzellette

Domani al Palamostre di Udine l’attore con lo spettacolo “Radio Clandestina” del 2000 Sabato al Bobbio di Trieste: «Con le storielle comiche affronti i temi più difficili e pericolosi»



Teatralmente parlando, Ascanio Celestini è nato quando è nato il suo primo lavoro importante, "Radio clandestina", nel 2000. Lo spettacolo racconta due fra i giorni che hanno lasciato il segno nella storia di Roma, il 23 e il 24 marzo del '44. I due giorni dell'eccidio delle Fosse Ardeatine.

Teatralmente parlando, Ascanio Celestini ha aperto il 2020 con il suo più recente lavoro, "Barzellette". Nello spettacolo, l'attore romano snocciola una quarantina di storielle, "divertenti, dissacranti, scorrettissime". Quelle - ci spiega - che senti al bar, o al ristorante, raccontate dallo zio scemo, magari il giorno del pranzo di Natale.

Per una congiunzione astrale, o per un meccanismo teatrale consueto, i due spettacoli - quello nato nel 2000 e questo di neanche due mesi fa - si ritrovano uno accanto all'altro, nel fine settimana.

A Udine, nella stagione di Teatro Contatto, domani (ore 21, Teatro Palamostre) va in scena "Radio Clandestina". A Trieste, al Teatro Bobbio, sabato (ore 20.30 repliche) si possono ascoltare le sue "Barzellette".

Finalmente Celestini fa ridere, hanno scritto i giornali. In vent'anni cambiano tante cose.

«Attenti che in "Barzellette" mica racconto solo barzellette. Parlo di Auschwitz, della strage di Bologna... Vent'anni fa, per me era importante mettere insieme un racconto orale su un episodio drammatico di quando non ero ancora nato e i miei genitori erano bambini, episodio che per pesa ancora nella storia della mia città».

Il teatro di narrazione, ambito d'azione di Celestini, ha sempre privilegiato temi drammatici, episodi tragici, morti annegati. È proprio vero che i drammi vendono di più delle commedie, come ci spiegano i capoccioni di Netflix?

«Il catalogo delle grandi disgrazie si è un po' esaurito. Scherzo, lo giuro, ma personalmente preferisco vedere i comici, quelli che parlano di suocere e di supplì mangiati in spiaggia».

Ma così si arriva dritti a "Barzellette".

«In realtà questo è uno spettacolo ancora più militante di 'Radio Clandestina'. Là raccontavo, qui prendo posizione. Perché con la barzelletta puoi affrontare i tempi più difficili, i più pericolosi. La barzelletta è il lasciapassare che ti permette di parlare di ogni argomento, anche quelli considerati intoccabili».

Racconti una barzelletta "sui froci", sei omofobo. Ne racconti dieci tutte di fila, diventa un discorso inclusivo.

«È la quantità che ne fa un gioco. Una barzelletta sola non è mai un capolavoro. Ma quando arrivano insieme, quando ne racconti cinque, e poi qualcuno ne racconta altre cinque, la performance si trasforma uno spazio di gioco. Chiaro che devi aver imparato le regole, saper giocare. Il segreto è mettersi a disposizione di quell'argomento».

Berlusconi passava per un campione di barzellette.

«Berlusconi era un pessimo narratore. Primo: annunciava, questa barzelletta fa ridere. Sbagliato, perché se fa ridere lo capisco solo nel momento in cui rido. Secondo: raccontava due o tre volte il finale, per spiegare. Sbagliato anche questo. Terzo: la barzelletta va messa su un piano più alto rispetto a chi la racconta. Dalla cornice della storiella il narratore deve stare fuori. Cosa che non riusciva a Berlusconi, dal quale sentivi perfino barzellette su Berlusconi».

Maestri di televisione come Walter Chiari o Gino Bramieri erano invece campioni veri.

«Bravissimi, soprattutto a riuscire a portare le barzellette dentro quella televisione là. Chiari si prendeva i propri spazi, lavorava con la camera fissa, ma li metteva davvero in scena, quei racconti. E si metteva a loro disposizione. Performance che potevano durare anche quindici minuti».

Non saranno troppi per una storiella sola?

«Dipende da te, dalla cornice in cui le racconti. Se stai in pizzeria, e gli altri ti stanno a sentire e annuiscono, puoi tirare avanti anche un'ora. Anche se io, una barzelletta di un'ora, giuro che non l'ho mai sentita». —



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