Bauman all’Hemingway: «Noi, terribilmente soli tra gli specchi del web»

di Alberto Rochira
LIGNANO
Un mondo globalizzato, multicentrico e interconnesso, dove non vale più il principio antico della “sovranità territoriale” sancito nel lontano 1555 con la celebre regola “cuius regio, eius religio”, stabilita dai poteri forti di allora per porre fine alle guerre di religione che insanguinavano l’Europa. È con questo mondo che dobbiamo fare i conti sia come individui, sia come soggetti allargati, dalla sfera dell’economia fino a quella della politica. Lo ha ricordato ieri a Lignano il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman, Premio Hemingway 2014. La giuria, presieduta da Alberto Garlini, gli ha ssegnato il riconoscimento per “L’avventura del pensiero”. Oggi la cerimonia di premiazione al Kursaal.
Ieri il filosofo non si è risparmiato. Ha lanciato inedite riflessioni per provocare nuovo dibattito. A partire da internet, l’ambiente in cui fioriscono oggi le conversazioni, ma dove, altresì, il dialogo resta merce rara. «Mark Zuckerberg ha capitalizzato 50 miliardi di dollari puntando sulla nostra paura di essere da soli, ed ecco Facebook», ha esordito Bauman. Mai nella storia umana c’è stata così tanta comunicazione, ha spiegato il sociologo, «ma poi questa non sfocia nel dialogo, tanto che il dialogo resta la sfida culturale più importante oggi».
Il dialogo è davvero un passo obbligato per l’umanità, che oggi si trova in mezzo al guado di una società liquida, dunque secondo Bauman, si impone che ciascuno di noi impari a confrontarsi con l’altro oltre le stanze degli specchi offerte da Facebook o da Twitter. «Usando questi social mi metto in una cassa di risonanza, dove mi aspetto che tutti mi diano ragione. È una sorta di stanza degli specchi in cui non ci si confronta, non ci si espone realmente al dialogo che, invece, presuppone che io voglia espormi a qualcuno che la pensa in modo diverso, correndo anche il rischio di essere messo in discussione e di avere torto».
Un esempio coraggioso di vera ricerca di dialogo, Bauman lo ha rintracciato di recente nel comportamento di Papa Francesco. «Questo è successo quando ha concesso la sua prima intervista alla stampa – ha detto il filosofo -; il Papa ha cercato davvero il dialogo avendo deciso di confrontarsi con Eugenio Scalfari, giornalista italiano noto per essere dichiaratamente ateo».
Alla vigilia dell’anniversario dello scoppio della Grande Guerra, Bauman ha ribadito a chiare lettere «che per evitare nuovi conflitti occorre impegnarsi per imparare appunto l’arte del dialogo, l’unica che può aiutarci ad abbattere i nuovi muri che sono stati costruiti dopo la caduta del muro di Berlino. Ma dialogare vuol dire parlare con qualcuno che ha opinioni diverse, che a volte aborriamo. La sfida però è obbligata, visto che viviamo in un mondo interdipendente dove non possiamo evitare di confrontarci con gli altri».
Occorre al più presto muoversi, dunque, sulle orme del sociologo Richard Sennett (che Bauman ha suggerito come prossimo Premio Hemingway), teorizzatore del dialogo come «cooperazione informale aperta». Bauman ha poi evidenziato che le paure con cui l’umanità è oggi chiamata a misurarsi sono radicate nei diffusi sentimenti di ignoranza e impotenza, e nel conseguente senso di umiliazione. «È chiaro che, di fronte a questo doloroso scenario di insicurezza esistenziale, la tentazione di cercare un colpevole su cui scaricare la propria rabbia e aggressività accumulata è molto forte e pericolosa», ha ammonito.
Per quanto riguarda l’economia, dal collasso finanziario mondiale a oggi, «nulla è cambiato, in fondo, anche se molti hanno invocato nuove regole». C’è stato il movimento Occupy Wall Street: «Tutti lo sanno, ma l’unica a non accorgersene è stata la Borsa di New York. La nuova realtà con cui dobbiamo fare i conti è che la classe media si è unita alle classi operaie e sociali di incertezza, in un unico enorme precariato».
Quanto alla politica internazionale, secondo Bauman «il concetto di sovranità territoriale su cui si basavano le legislazioni nazionali dal ’500 a oggi è completamente inutile». Queste regole si basavano sul concetto di “indipendenza”, mentre oggi il mondo globalizzato è caratterizzato dall’assenza di confini territoriali e dall’assoluta interdipendenza.
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