Beckett paragonava i suoi scritti rifiutati a rotoli di carta igienica

L’epistolario di Samuel Beckett (1906-1989), poeta, scrittore, drammaturgo irlandese che ha rivoluzionato il teatro moderno e Premio Nobel nel 1969, conta oltre 15.000 lettere, ma l'autore di Giorni Felici autorizzò la pubblicazione solo di quelle che avevano attinenza col suo lavoro letterario. I quattro volumi che propongono una selezione delle sue lettere scritte tra il 1929-1989 lasciano dunque poco spazio al voyeurismo, ma tanto alla scoperta di un genio.
Di questi, esce ora finalmente in italiano, per i tipi di Adelphi, il primo volume, “Lettere 1929-1940”, traduzione di Massimo Bocchiola e Leonardo Marcello Pignataro, a cura di Franca Cavagnoli, (pagg. 530, euro 50), che a Trieste verrà presentato il 12 aprile, alla Libreria Minerva, da Renzo S. Crivelli e Giovanna Vincenti. La corrispondenza copre un arco di undici anni, periodo in cui James Joyce contribuì in maniera decisiva a chiarire al futuro autore di Aspettando Godot cosa significava “essere un artista”.
A Parigi, il giovane Beckett era stato presentato a Joyce dall'amico McGreevy nel 1928. Sam venne coinvolto nella stesura di Finnegans Wake, ma ebbe poi difficoltà a smarcarsi da Joyce & Co., Lucia, in particolare, ebbe per lui una breve, sfortunata infatuazione. Di fatto, Joyce e Beckett condividevano il rifiuto nei confronti di patria, famiglia e religione e Sam fece suo il motto di Dedalus: “Silenzio, Esilio, Astuzia”.
Tra i due c'erano però anche differenze. Beckett era nato in una benestante famiglia protestante, aveva studiato, viaggiato, coltivato l'interesse per la pittura e anche il tempo per somatizzare frustrazioni e fallimenti vari. In queste lettere ci appare sempre in viaggio, coltissimo, fluente in italiano, francese e tedesco, con opinioni precise sull'arte, la musica e la letteratura (tranchant i suoi giudizi su d'Annunzio, Swift, Furtwängler). Squarci sulla vita intima (la breve passione per Peggy Guggenheim) traspaiono solo dalle note che accompagnano il volume. Il giovane artista è pronto a tutto, pur di essere pubblicato.
Gran parte delle missive tengono la contabilità dei rifiuti degli editori. Con Joyce Sam condivide l'amore per i giochi di parole e con gli amici commenta ogni fallimento con un: «tant piss!». Si abbandona spesso a un'adolescenziale coprolalia, paragonando i suoi scritti a rotoli di carta igienica. Insomma è alla ricerca di una voce propria. In questa fase, uno dei suoi lumi è Dante Alighieri, a suggerirlo è il protagonista di alcuni racconti, Belacqua, un campione d'indolenza e pigrizia come l'omonimo dantesco, una sorta di alter-ego, stando alle lettere in cui Sam dichiara di passare intere giornate sdraiato a letto o sul pavimento, incapace di fare alcunché.
Nel 1936 scrive a McGreevy da Foxrock, dove viveva la madre, «Mi ritrovo più che mai atterrito all'idea dello sforzo, dell'iniziativa e perfino della piccola autoaffermazione necessari per spostarmi da un luogo all'altro». Per May Beckett, una donna dura, mascolina, autoritaria, Sam non rispondeva all'idea di figlio ideale e nel «perturbato seno della mia famiglia» il futuro Premio Nobel viveva una tensione insopportabile che si traduceva in problemi cardiaci e respiratori: «La mia partenza da qui sarà sempre troppo tardi».
Nell'ottobre del 1937, dopo un litigio con la madre, confessa a McGreevy «se ora arrivasse un telegramma con la notizia che è morta, non farei alle Furie il favore di considerarmi neanche indirettamente responsabile». Nell'Irlanda vedeva un paese bigotto, che ignorava i suoi scritti e presto li avrebbe messi all'Indice, e si distanziò dal nazionalismo, dichiarandosi incapace di «comprendere un'espressione quale “il popolo irlandese” in una qualsiasi proposizione».
La notte del 6 gennaio 1938 Beckett viene accoltellato da uno sconosciuto, l'incidente - che rischiò di essere letale - segna un cambiamento nella sua esistenza. Joyce interviene come un padre premuroso e dal nulla ricompare una compagna di tennis, Suzanne Deschevaux-Dumesnil, che si occuperà di lui per il resto della sua vita. Nel 1940, con l'occupazione nazista, sia Joyce che Beckett dovettero abbandonare Parigi per riparare a Vichy, Lucia era già da anni ricoverata in manicomio a Ivry. Quello sarebbe stato l'ultimo incontro tra il vecchio e il giovane genio. Joyce morì dopo qualche mese a Zurigo, mentre Sam era già entrato in clandestinità, partigiano nella Resistenza al nazifascismo accanto agli amici francesi.
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