Boni, un “Visitatore” in bilico tra Dio e Freud

Da oggi l’attore sarà in scena insieme ad Alessandro Haber al “Verdi” di Gorizia con il testo di Éric-Emmanuel Schmitt
Di Alex Pessotto

Ma chi è “Il visitatore” che dà il titolo al lavoro di Éric-Emmanuel Schmitt? È Dio? È un pazzo? O è “un qualcuno” che si diverte a demolire le certezze su cui è arroccato nientedimeno che il padre della psicanalisi (proprio lui, il dottor Freud)?

Difficile dare risposte, in quanto “Il visitatore”, più che altro, solletica dubbi. L’unica certezza è che, questa sera, alle 20.45, al Teatro Verdi di Gorizia, avrà il volto di Alessio Boni, tanto caro alle sue non poche ammiratrici, mentre nel ruolo di Sigmund Freud troveremo Alessandro Haber.

Ma il visitatore, per Alessio Boni, chi è? «È Dio che prende i panni di un attore che nascerà tanti anni dopo di Freud. Ma questo è “solo” quanto scrive Schmitt nel testo. Il pubblico, infatti, in lui può vedere chi vuole. Per me, ad esempio, il visitatore è il dubbio e il dubbio, in fondo, è la nostra stessa vita».

Ma forse è meglio non farsi molti dubbi, godersi il successo. E “Il visitatore” con Boni e Haber, regia di Valerio Binasco, è un successo consolidato. «Un attore anche se avesse sette spettatori in sala direbbe sempre che il suo spettacolo va benissimo. In questo caso, però, non si tratta di un successo ma di un trionfo. Le ragioni di un trionfo così? Forse gli spettatori hanno bisogno di vedersi “analizzati” sul palco, forse hanno bisogno di compiere una “terapia di gruppo” come quella che io e Haber li facciamo fare, forse è il momento che stiamo vivendo: “La meglio gioventù” se uscisse ora rimarrebbe un grande film ma andrebbe così bene come un tempo?».

E il rapporto di Boni con la psicanalisi? «Non ci sono mai andato. Non per snobismo ma per mancanza di tempo. Per impegni di lavoro, non sto fermo una settimana nello stesso posto». Forse, “va meglio” il suo rapporto con la fede: «Non sono ateo. Ci deve essere qualcosa di più grande, che non so come chiamare. Ma io mi limito a pensare a questa vita. Ecco, credo nella spiritualità degli esseri umani: va al di là della fede».

Nessun dubbio, invece, sulla sua amicizia con Alessandro Haber: «Siamo in scena da sei anni. Prima con “Art”, poi col “Visitatore”. Ci confidiamo, certo. Mi considera un fratello minore. Sì, siamo diversi ma in fondo, se non mi fossi trovato bene con lui, non sarei con lui a fare tournée da anni. E poi con Alessandro non mi annoio mai. Della noia ho paura». Meglio respirare la polvere del palcoscenico, insomma. «Non ho rimpianti. Vengo dal proletariato. Facevo il piastrellista. Il gradimento del pubblico è il maggiore riconoscimento che posso avere: lo capisci in teatro, non al cinema».

I progetti, tuttavia, non sono solo a teatro. «Sto finendo di girare una fiction con Riccardo Milani, ideata da Cristina Comencini, che si intitola “Di padre in figlia”: uscirà per Rai1 il prossimo anno; sempre nel 2016 andrà in onda “Catturandi” che ho girato con regia di Fabrizio Costa. Finita la tournée del “Visitatore” farò “I duellanti” con i quali ho debuttato al Festival di Spoleto. E poi dovrei iniziare un’altra fiction per RaiUno: si partirà in maggio e sarà prodotta da Luca Barbareschi. Sono un po’ stanco fisicamente, non mentalmente».

Chissà se c’è tempo per l’amore... «Sto galleggiando, sto navigando». Ancora dubbi. Ma “solo” per le sue ammiratrici.

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