Carla Fracci, addio in punta di piedi Icona della danza con un’anima pop
È morta ieri a Milano a 84 anni Carla Fracci, signora della danza italiana. Era malata da tempo di un tumore affrontato nel più stretto riserbo. Aveva iniziato alla scuola di ballo della Scala di cui poi è diventata étoile. L’ultima apparizione in gennaio in una masterclass.
La vecchia foto accanto al tram guidato dal padre, in piazza Scala davanti al teatro, racchiude in una sola immagine tutta Carla Fracci. Le origini proletarie, sempre rivendicate, e il teatro dove aveva studiato e che l’aveva formata prima che prendesse il volo e diventasse una stella di fama mondiale, una delle più grandi del Novecento. E dove danzò infinite volte i suoi personaggi più amati, Giulietta e Giselle. «Una figura cardine della storia italiana» ricorda oggi il Teatro, con cui comunque avrebbe avuto polemiche a proposito della direzione del ballo che non si concretizzò mai. Polemiche appianate negli ultimi tempi, quando è stata chiamata a tenere delle masterclass con le danzatrici di Giselle. Una scelta voluta dal direttore del ballo Manuel Legris e che forse intendeva già essere un silenzioso e discreto commiato.
Carla Fracci è stata il simbolo della danza in Italia, la sua anima popolare nel vero senso della parola: capace di trionfare in un pas de deux con Rudolf Nureyev nei grandi teatri del mondo e di fare a gara di fouetté con Heather Parisi in un programma del sabato sera. La sua prerogativa è stata proprio quella di essere sublime e al tempo stesso pop. Come non ricordarla vestita sempre di bianco, con una acconciatura alla Lucia Mondella: grandi spilloni infilati fra i capelli? Immortalata così dall’imitazione che ne fece al Festival di Sanremo Virginia Raffaele, cosa che le fece molto piacere: «Mi è piaciuta tantissimo, ci siamo anche sentite per telefono». Soave e sorridente eppure con un carattere di ferro, volitiva e sempre accompagnata dal marito Beppe Menegatti, da quel lontano 1964 in cui si sposarono, che le ha dedicato praticamente tutta la vita.
Il suo percorso artistico incomincia al Circolo ricreativo dei tranvieri, nella Milano proletaria del dopoguerra, dove qualcuno la nota mentre balla col genitore e le consiglia la scuola della Scala. All’iscrizione, racconta nel suo libro autobiografico Passo dopo passo, (Mondadori) arriva con la mamma all’ingresso artisti di via Filodrammatici e si trova in una stanza con altre 350 bambine. Superano l’esame in trentacinque e prende il via la sua vita di «spinazit» come vengono chiamate le allieve della scuola. Anni di lezioni con le maestre che parlano in milanese (una di loro, la 98enne Luciana Novaro, è morta curiosamente proprio ieri). Così come leggermente lombardo era il suo accento.
Ripercorrere la sua vita dal dopoguerra in poi è rileggere la nostra storia. Incontrare di nuovo tutti i più grandi. Il debutto che la rese famosa fu al Festival di Nervi del 1957 dove danzò il Pas de quatre, titolo ottocentesco ripreso da Anton Dolin, con tre grandi di quegli anni Alicia Markova, Yvette Chauviré e Margrete Schanne. La consacrazione però avvenne il 26 luglio del 1958 all’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia quando si esibì come Giulietta nel balletto di Prokofiev con la coreografia di John Cranko. E Giulietta, con Giselle, resta una delle sue più belle interpretazioni.
A tu per tu con la cultura del Paese, in quegli anni in Scala incrocia Maria Callas, Luchino Visconti, Margot Fonteyn e Violette Verdy. A Forte dei Marmi conosce Eugenio Montale che le dedica la poesia La danzatrice stanca. Mentre lei dedica il proprio volto alla pubblicità di un sapone famoso: indimenticabili Anni 60. Balla nei più grandi palcoscenici e con i più famosi partner. Da ricordare almeno Vladimir Vassiliev, Amedeo Amodio, Mikhail Barishnikov, George Iancu ma anche Massimo Murru con cui è protagonista, in Scala, di Chéri,coreografato da Roland Petit, e Roberto Bolle.
Tuttavia i partner fondamentali sono Erik Bruhn, con cui resta un video che li vede protagonisti di Giselle, e che le schiude le porte degli Stati Uniti, e Rudolf Nureyev con cui forma una coppia leggendaria, interprete d’elezione dei grandi balletti romantici e delle nuove versioni dei classici create da Nureyev.
Fracci apparteneva alla schiera delle leggende inossidabili della danza. Mentre altri personaggi come Zizi Jeanmaire o Alicia Alonso avevano preferito ritirarsi a vita privata, lei ad appendere le scarpette al chiodo neanche ci pensava. In una intervista con La Stampa aveva detto: «È il pubblico che me lo chiede, ricevo sempre un’incredibile accoglienza. Per spostarmi in città mi servo di taxi perché se salgo su un mezzo pubblico la gente mi riconosce e mi festeggia. È imbarazzante. Ma è lì che trovo la forza di continuare».
Dopo la danza, aveva diretto il corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli e dell’Opera di Roma e nel centenario dei Ballets Russes non aveva tralasciato di ricordarlo. Lavoratrice instancabile aveva dedicato, qualche anno fa, le sue forze a ripercorrere la sua vita nell’autobiografia. Il suo amore per la cultura lo aveva testimoniato nelle pagine finali de libro: «Un paese senza cultura e arte e un paese che non si rinnova, che si ferma e non ha accesso a ciò che succede nei paesi più importanti, negandosi così a un futuro vero, autentico e soprattutto libero». —
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