Chi era Marchionne, lo straniero nel regno sabaudo della Fiat che mise fine all’industria del ’900

Un saggio di Paolo Bricco ricostruisce la figura del manager, che si considerava istriano d’adozione
26/06/2018 Roma, l'amministratore delegato di Fca consegna una Jeep Wrangler al Comando Generale dei Carabinieri, nella foto Sergio Marchionne
26/06/2018 Roma, l'amministratore delegato di Fca consegna una Jeep Wrangler al Comando Generale dei Carabinieri, nella foto Sergio Marchionne



Il profilo di Sergio Marchionne appare su sfondo nero sulla copertina del nuovo saggio di Paolo Bricco (“Marchionne. Lo Straniero”) per le edizioni Rizzoli. Nero come lo sfondo della locandina del film “Gran Torino” di Clint Eastwood che racconta il declino industriale di Detroit. Il lavoro di Bricco, inviato ed editorialista del Sole 24 Ore, non è un istant book anche se arriva in libreria sull’onda emotiva della scomparsa improvvisa del top manager, figlio di un carabiniere abruzzese emigrato in Canada, che ha “salvato” la Fiat (quando, nel 2004, era tecnicamente fallita) fino alle nozze con Chrysler. Tre anni di lavoro e una ricca documentazione hanno consentito all’autore di ricostruire per la prima volta la storia di un personaggio unico che in un’altra vita avrebbe voluto studiare fisica «per capiremo movimenti e traiettorie della pioggia». Marchionne è il manager che mette fine al Novecento dell’industria italiana nell’era della globalizzazione «ipercinetica e senza tregua». Passerà alla storia come colui che renderà obsoleto il modello industriale dei grandi gruppi come non accadeva dai tempi dell’Olivetti.

Il 24 gennaio 2003 scompare Gianni Agnelli e finisce un’epoca. Ai funerali gli viene riservata «l’affettuosa e addolorata deferenza propria dei sovrani». La Fiat sarebbe stata destinata al fallimento dopo avere perso circa 7,7 miliardi nel solo triennio 2002-2004.

Quando Marchionne arriva poco dopo a Torino nessuno lo conosce veramente bene. Un alieno nel piccolo mondo antico sabaudo. Si considerava istriano d’adozione. Suo padre Concezio, maresciallo maggiore dei carabinieri, aveva conosciuto la madre Maria a Gorizia, dove prestava servizio. Il nonno materno, Giacomo Zuccon, commerciante istriano di Carnizza (Pola), fu trucidato dai titini nel 1943 nella foiba di Terli. La famiglia Marchionne, con il peso e il dolore di questa tragedia, emigrerà nel 1966 da Chieti, in Abruzzo, a Toronto, in Canada.

La fusione di Fiat in Chrysler sarà il grande capolavoro della vita di Marchionne. In nove anni annuncia otto piani strategici, compreso Fabbrica Italia con 20 miliardi di investimenti (che però non andrà in porto). Lo Straniero non subisce l’influenza dell’immagine ieratica e cosmopolita dell’Avvocato, ha uno stile diretto e antiretorico, all’inizio bada a controllare i costi, a restituire decoro alle fabbriche, si occupa di controllo e di finanza: «Non gli interessa nulla della componente monarchico-burocratica-fordista della vecchia Fiat». Ha uno stile da “poliziotto buono”. Non ha remore ad azzerare l’eredità di Gianni Agnelli. Niente giacca e cravatta. Indossa però un maglioncino nero che diventerà presto il suo marchio di stile come l’orologio sul polsino dell’Avvocato. La vecchia dirigenza, «entrata in ditta negli anni Settanta e Ottanta», non regge il suo ritmo. Bricco racconta che molti dirigenti dovranno addirittura sottoporsi a sedute psicanalitiche per superare il trauma: «Torino avamposto della modernità con l’industria, le fabbriche e la tecnologia, con Marchionne si ritrova a fare i conti con un altro tipo di modernità». Lo Straniero inizia smantellare le relazioni industriali: rifiuta il sindacato allo stesso modo con cui esce da Confindustria. La Fiat, grazie a Marchionne, riesce a restare a galla in un connubio con Detroit, simbolo dell’industria di massa e del fordismo. La famiglia Agnelli incassa i dividendi e il prestigio del nuovo status industriale globale del gruppo. Nasce la Fca “globale” del presidente John Elkann. Negli Usa la recessione del 2008 ha posto fine al sogno del capitalismo liberista. Bricco racconta la violenta deindustrializzazione di Detroit, le case abbandonate, le fabbriche dismesse dove si coltivano i fagiolini. In questo scenario l’operazione Fiat-Chrysler avviene con la benedizione di Obama che intuisce il genio del top manager in maglione nero: «Non è soltanto una operazione industriale e di finanza di impresa. Ma ha anche una componente politica e culturale rilevante. Nel 2010 Fiat fatturava 35,9 miliardi, tre anni dopo ne fattura 86,6 con tutti gli indicatori di redditività che tornano a brillare». Marchionne riesce nell’operazione rilancio condivisa da Obama puntando su un marchio simbolo come la Jeep. Il Marchionne pensiero è descritto in un discorso agli analisti a New York: «Confessioni di un drogato di capitale». L’uomo del maglione nero ha detto addio all’Italia del Novecento. Il profilo dello Straniero, sembra suggerire Bricco, assomiglia a quello di un altro grande innovatore di genio: Enzo Ferrari. —



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